Le morti giornaliere per COVID-19 stanno diminuendo ormai da qualche tempo, ma in alcune regioni la situazione non migliora. Secondo gli ultimi numeri resi noti dalla protezione civile, aggiornati al 16 aprile, buona parte della riduzione dei decessi arriva dalla Lombardia eppure ci sono altre aree dove non calano, e in qualche caso appaiono persino in aumento – come in Campania.
Nella regione del meridione gli ultimi giorni hanno visto una nuova crescita dei morti, che dopo essere scesi al minimo da un paio di settimane a questa parte sono tornati a un livello maggiore. Per parte loro i ricoveri in terapia intensiva, che forniscono informazioni su quanti sono i casi gravi, avevano raggiunto un massimo il 29 marzo scorso con 135 persone, per poi flettere molto fino a 76 persone il 16 aprile. Nei pazienti deceduti, il ricovero in terapia intensiva tende a precedere di circa una settimana la morte, mostrano alcuni studi.
Considerate le circostanze è anche possibile che l’apparente crescita dei morti sia un caso, di qualche giorno sfortunato pur in mezzo a una tendenza in calo – cosa che in effetti si è già verificata in passato. Soltanto qualche ulteriore giorno di attesa potrà dirci se è davvero in corso un peggioramento o meno.
Al contempo, anche altre regioni come il Piemonte e l’Emilia-Romagna presentano un numero di decessi che non calano ormai da diverso tempo, e anzi per la prima area risultano persino leggermente in crescita. Poiché il virus circola e continuerà lo stesso a circolare nel futuro prevedibile, anche finché non verrà scoperto un vaccino, è forse irrealistico aspettarsi che la mortalità cali a zero. D’altra parte se i numeri tornano a crescere già ora potrebbe voler dire che le varie misure di contenimento stanno diventando meno efficaci, il che sarebbe un problema soprattutto in un’ottica di riapertura di alcune attività.
Come spiega Alessio Farcomeni, professore al dipartimento di economia e finanza dell’Università di Tor Vergata, “con i dati distorti e aggregati a nostra disposizione è molto difficile avere un monitoraggio corretto dell’andamento dell’epidemia. Inoltre le differenti politiche regionali rendono complesso confrontare le diverse aree. La cosa migliore in generale è valutare insieme i ricoveri in terapia intensiva e i decessi, e il distacco tra i due andamenti. In aree come il Veneto, in cui la politica dei test diagnostici è stata abbastanza ampia e costante, i positivi sono meno distorti. In aree come la Lombardia invece è evidente che al momento ci sono molti nuovi positivi che in realtà sono pazienti meno gravi, magari infetti da anche un mese, che finalmente ricevono una diagnosi e delle cure quando necessario. Da cui l’incremento delle ospedalizzazioni in quella regione”.
Il solo numero generale dei ricoverati in Campania, esclusi i pazienti in terapia intensiva, non sembra comunque in calo. Dopo aver raggiunto un minimo di 526 pazienti il 12 aprile negli ultimi giorni è poi risalito a valori fra i 606-618 – i maggiori mai registrati in regione.
I dati generali di mortalità del sistema di rilevazione SISMG (“sistema di sorveglianza mortalità giornaliera”), che raccolgono informazioni su alcune fra le principali città italiane, non contengono purtroppo dati su Napoli o altre città campane.
Anche l’Istat ha pubblicato dati di mortalità relativi a un campione di 1.689 comuni italiani, per capire quante persone sono decedute rispetto agli anni precedenti. Prima di entrare nel merito dei risultati è importante sottolineare, come ha fatto l’istituto di statistica, che essi non rappresentano il totale dei comuni italiani né “costituiscono un campione, meno che mai rappresentativo, dell’universo dei comuni italiani, ma solo un loro sottoinsieme meritevole di attenzione: l’importante incremento dei decessi per il complesso delle cause, infatti, si è osservato proprio in concomitanza della diffusione dell’epidemia di COVID-19”.
Chiarito questo la variazioni più importanti nella mortalità sono risultate al nord, dove i focolai hanno raggiunto dimensioni molto grandi, ma anche nel campione delle città considerate al sud troviamo un incremento dei decessi dal 1 marzo al 4 aprile 2020 (rispetto alla media 2015-2019) di circa il 40%. La media dei soli comuni campani censiti presenta un aumento poco sotto il 100%, confrontando identici periodi del 2019 e 2020, ma si tratta solo di una trentina di comuni e spesso di località molto piccole in cui anche solo pochi decessi in più fanno schizzare in alto i numeri.
I dati di mortalità generale hanno un vantaggio rispetto a quelli rilevati dalla protezione civile, e cioè consentono di provare a includere anche chi per qualsiasi motivo non è stato testato per il COVID-19 ma ne è morto comunque. Questo è successo e succede con una certa frequenza in particolare nelle aree più colpite, dove a causa della mancanza di mezzi spesso non vengono effettuati tamponi a tutti i casi sospetti. Facendo invece la differenza fra quante persone normalmente muoiono di solito in questo periodo dell’anno e i valori effettivi del 2020 riusciamo a capire meglio quali possono essere stati gli effetti reali dell’epidemia. Questo non vuol dire che ogni decesso in più debba essere per forza attribuito al virus, ma (soprattutto al nord) ormai ci sono talmente tanti morti in più rispetto al passato che pensare a una coincidenza è davvero impossibile.
Questo è infatti il periodo dell’anno in cui i decessi tendono a diminuire, con la fine della stagione influenzale. Fino a che l’epidemia di COVID-19 non ha colpito con forza l’Italia si era trattato tutto sommato di un anno fortunato, con un’influenza dagli effetti modesti e meno morti degli anni precedenti. Ma da marzo in poi i decessi invece di calare sono esplosi andando completamente fuori scala rispetto all’atteso, e soltanto a partire da fine mese essi hanno cominciato a flettere leggermente.
Altre informazioni dettagliate, di natura più medica, sono invece quelle compilate dall’istituto superiore di sanità (ISS) in alcuni dei suoi bollettini. Il più recente, aggiornato al 16 aprile, mostra che i casi confermati dai laboratori di riferimento regionale sono 3.694, con un’età mediana di 55 anni e 145 decessi. Come altrove, la malattia tende a concentrarsi sulle persone più anziane anche se questo non implica in alcun modo che i giovani siano immuni. I casi finora identificati – che non sono tutti, in quanto il numero reale di persone colpite è sconosciuto – si concentrano in particolare a Napoli e nella parte nord-occidentale della regione. In quella più meridionale risultano invece un certo numero di comuni senza alcun caso individuato.