Cos’hanno in comune le metropoli cinesi e le città della Lombardia, oltre al fatto di essere state duramente colpite dal Covid-19? L’inquinamento. E allora è possibile che ci sia una relazione tra lo smog e la diffusione della pandemia? In qualche modo sì, ma non si pensi che basti spegnere le caldaie e fermare le auto per sconfiggere il virus.
Intanto bisogna chiarire che non esiste alcun rapporto di causa-effetto. Si è ipotizzato che le polveri sottili, il Pm10 e soprattutto il Pm2,5 potessero contribuire al trasporto e alla diffusione del virus, ma non sono state riscontrate evidenze che supportassero quest’idea. La natura del legame tra smog ed epidemia appartiene a quella che gli statistici chiamano correlazione positiva. In altre parole, mentre cresce uno dei due fenomeni cresce anche il secondo, senza che però nessuno dei due possa essere indicato come causa dell’altro.
In realtà, dal momento che il Covid-19 colpisce l’apparato respiratorio è probabile che abbia trovato terreno fertile in zone nelle quali i polmoni delle persone sono già messi a dura prova dall’inquinamento atmosferico. Senza contare che le aree più inquinate sono anche quelle più densamente popolate. E appunto la densità abitativa è uno degli elementi che gli epidemiologi prendono in considerazione nel valutare la possibilità che un virus si diffonda.
Per inciso, le zone più densamente popolate sono anche quelle nelle quali ha più senso cominciare la posa di nuove infrastrutture telefoniche, come ad esempio il 5G. Una circostanza che per gli amanti dei complotti, in un momento storico in cui opporsi ai vaccini è quantomeno socialmente poco accettabile, si è trasformata nella più spuria delle correlazioni. Quella per cui le antenne di quinta generazione diffondano il virus, col risultato che qualcuno nel Regno Unito ha pensato bene di dar loro fuoco.
Un’altra ipotesi è che esista una relazione tra le condizioni climatiche e la diffusione del virus. L’Università degli Studi di Milano ha reso noti i risultati di un pre-print, ovvero uno studio che ancora deve passare attraverso il meccanismo di peer-review che se superato porterà alla pubblicazione vera e propria, secondo il quale esiste una correlazione tra la diffusione del virus e la temperatura.
In particolare, l’epidemia è cresciuta più rapidamente nelle zone in cui le temperature medie si attestano intorno ai 5 gradi centigradi. Va detto però che nel frattempo, lo studio risale ai primi di aprile, hanno iniziato a salire in maniera preoccupante anche i contagi in Brasile, che come tutto l’emisfero australe sta uscendo dall’estate ed è entrato nell’autunno. Per quanto, nel caso brasiliano, può aver inciso anche il fatto che il presidente Jair Bolsonaro abbia continuato per settimane a definire il Covid-19 poco più di un’influenza.
Questo per ribadire che i fattori che incidono sulla diffusione di un’epidemia sono molteplici. Osservando questo grafico, ad esempio, si potrebbe affermare come la diffusione del Covid-19 abbia avuto come effetto la riduzione dell’inquinamento. Che in qualche modo è collegata, ma è dovuta alle misure di contenimento che, impedendo alle persone di uscire di casa, riducono le auto lungo le strade e, a cascata, le emissioni inquinanti. Anche in questo caso, è solo una correlazione.