Molte analisi suggeriscono che la situazione del Covid-19 in Lazio sta migliorando, eppure a Roma i numeri rappresentano un rebus che merita attenzione. Secondo le statistiche diffuse dalla regione Lazio nel proprio portale, infatti, il numero di casi attivi nella Capitale sembra stia continuando a crescere a un ritmo sostenuto – e in effetti persino accelerando a fine aprile rispetto a un rallentamento che invece c’era stato intorno a metà mese.
A essere importante qui non è il loro numero totale, che naturalmente può solo aumentare, ma la quantità di nuovi casi attivi. In questo senso i numeri romani mostrano un’incongruenza con quelli dell’intera regione che risulta difficile interpretare. Da un lato le misure di distanziamento sociale hanno gettato acqua sul fuoco rallentando l’espansione dei focolai in diverse regioni Lazio incluso, come mostrano le statistiche della Protezione Civile.
Eppure i numeri specifici di Roma non sembrano mostrare questo genere di miglioramento, al contrario.
Per dare un indicatore più stabile e meno soggetto alle inevitabili variazioni di misura che ci sono fra un giorno e l’altro abbiamo inserito in un grafico com’è cambiata la prevalenza del COVID-19 in tutti i giorni disponibili rispetto a una settimana prima. La prevalenza indica, per la precisione, il numero di casi attivi a Roma ogni 10mila abitanti. Come si vede, nella prima metà di aprile il tasso di espansione dell’epidemia in città rallenta, ma poi torna a risalire intorno a metà del mese.
Si tratta di numeri difficilmente compatibili con quelli generali dell’epidemia nell’intera regione, dove dopo un picco negativo raggiunto grosso modo fra fine marzo e inizio aprile molti indicatori hanno poi virato verso un miglioramento. Periodo in cui nel Lazio sono calati sia i ricoverati in ospedale in generale, che quelli in terapia intensiva – i più gravi –, con una flessione anche nel numero di nuovi casi.
Il numero meno incoraggiante è invece quello dei decessi, che è sì calato dal picco ma comunque molto lentamente per poi stabilizzarsi proprio negli ultimi giorni. Sappiamo comunque che questa è una malattia con un decorso relativamente lento, e dai primi sintomi a una eventuale morte possono passare anche parecchi giorni. Per questa ragione gli indicatori che prendono in considerazione i decessi (per quanto probabilmente i più affidabili e meno soggetti a sotto-stime) mostrano in realtà una foto vecchia di circa tre settimane, e saranno gli ultimi a mostrare eventuali miglioramenti che magari sono già oggi in corso.
Un altro dato positivo è invece quello dei nuovi test effettuati in regione, che proprio negli ultimi giorni hanno raggiunto un nuovo massimo storico. Un maggior numero di test vuol dire anche poter trovare più casi, il che apparentemente fa sembra la situazione peggiore di quel che è ma in realtà ci fornisce un quadro molto più chiaro di come stanno evolvendo le cose. In regioni come la Lombardia, per esempio, sono stati effettuati pochissimi tamponi rispetto a quanto è estesa l’epidemia e questo vuol dire che esiste un enorme sommerso di casi mai individuati. Il contrario è successo in Veneto, fra le aree dove invece i test sono stati di più e che anche per questo è riuscita a contenere molto meglio il contagio.
Detto questo la capacità di effettuare test, a Roma come nel Lazio come nell’intero Paese, è ancora del tutto insufficiente sia a quella necessaria per scovare i tantissimi casi ancora non individuati – che secondo alcune stime potrebbero essere da dieci a venti volte i confermati –, sia al numero di test che servirà effettuare una volta sgonfiate la misure di chiusura.
Le informazioni raccolte dall’istituto superiore di sanità (ISS) ci dicono che ampia parte dei casi regionali è proprio a Roma, e quindi i dati regionali dovrebbero in teoria procedere di pari passo con quelli della Capitale, anche se così non sembra almeno dal punto di vista dei nuovi casi.
“Su città e province preferisco non esprimermi in quanto non sono pubblici indicatori di ricoveri in terapia intensiva e di decessi, questi arrivano solo su base regionale”, avverte subito Alessio Farcomeni, esperto di statistica epidemiologica all’università Tor Vergata di Roma. “Posso solo fare qualche ipotesi. Da una parte, dalle notizie riportate sembrerebbe che il contagio in città e provincia sia sostanzialmente ormai verticale e ristretto a nuclei familiari, RSA, e qualche assembramento come una casa occupata in zona Romanina, ad esempio. Dall’altra, la crescita dei contagi rilevati è stata lineare quasi da subito, e persiste ad essere lineare con piccole oscillazioni. Forse la crescita è leggermente più lenta, nella città siamo in media sulla quarantina di nuove diagnosi al giorno, a marzo dieci o quindici in più. Non mi sento sereno a trarre conclusioni dai conteggi dei diagnosticati, ma potrebbe essere che l’efficacia delle misure restrittive abbia rallentato la diffusione nelle ultime settimane”, senza però arrivare ancora a far sì che ogni persona ne contagi in media meno di un’altra – fattore chiave per rallentare e poi bloccare l’epidemia. “Dico nelle scorse settimane, conclude Farcomeni, in quanto va tenuto conto del fatto che le diagnosi di oggi riguardano infezioni da 5 a 45 giorni fa”. Se ogni persona in media ne contagia anche solo poco più di un’altra “la diffusione è lenta o lentissima ma il picco dei contagi è spostato in avanti anche di molti mesi”.
D’altra parte le stesse informazioni dell’ISS mostrano che i casi registrati da quando i pazienti hanno avuto i primi sintomi – uno fra gli indicatori più affidabile per tenere traccia di come si evolve la curva dei contagi – sono in calo, a differenza di quanto mostrano i dati specifici di Roma della regione. Pur con gli inevitabili su e giù che troviamo sempre in casi come questi, la tendenza generale che possiamo leggere nei dati dell’istituto è di un calo generale costante nelle ultime settimane: un’ulteriore incongruenza.
Al di là delle variazioni nel tempo, i numeri del portale mostrano anche con un certo dettaglio quanti sono stati in tutto i casi registrati nelle diverse zone urbanistiche della capitale, con differenze spesso molto rilevanti. Per leggere correttamente questi numeri è però bene tenere a mente due cose: la prima è che si tratta di valori divisi per il numero di abitanti, e che quindi amplificano quello che succede nelle aree meno popolose. Per esempio gli 8-10 casi totali in aree come al Foro Italico o nella zona Omo li fanno balzare in alto in questo genere di confronto, ma allo stesso tempo ne sono state registrate altre (come Esquilino o Tuscolano Sud) con anche il triplo di casi. Quando parliamo di numeri così piccoli, metterli a confronto con l’intera popolazione non è sempre una buona idea.
Dal punto di vista della mortalità, l’unica fonte che al momento possiamo consultare per capire come stanno le cose a Roma consiste nei bollettini del sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera (SISMG), un progetto che censisce in tempo reale o quasi quanti sono i decessi in 34 grandi città italiane fra cui appunto la capitale.
Scorrendo l’ultimo disponibile troviamo che al centro-sud il numero dei morti è aumentato rispetto a quanto ci aspetteremmo “normalmente” in questo periodo dell’anno, per se non tanto quanto è successo al nord dove a fine marzo aveva raggiunto valori fuori scala per poi calare leggermente nelle settimane successive.
“Tra le città del centro-sud”, si legge, “gli incrementi osservati sono minori con incrementi significativi osservati a Roma (+6%), Civitavecchia (+41%), Potenza (+35%), Bari (+43%) e Messina (+22%)”. Per la città romana i dati arrivano fino all’8 aprile e coprono un periodo di 40 giorni.
Più in dettaglio, a Roma i decessi hanno raggiunto un massimo nella settimana del 28 marzo al 3 aprile arrivando a 557 in tutto, mentre erano arrivati al più a 500 a febbraio. Con la fine della stagione influenzale il numero dei morti di solito tende a calare, ma quest’anno si è invece impennato improvvisamente con l’arrivo del COVID-19. Questo è successo anche a Roma, benché in misura minore che in altre città del nord come Milano dove per alcune settimane la mortalità è anche raddoppiata.
Una parte significativa dell’aumento di decessi nella capitale si è concentrato sulle persone più anziane, e in particolare fra chi aveva almeno 75 anni. I morti fra i 75-84enni, in particolare erano stati circa 120-140, per poi balzare a 183 nella settimana 14-20 marzo.