Gli epidemiologi del Centre for the Mathematical Modelling of Infectious Diseases hanno messo a disposizione il loro modello per studiare come dovrebbe evolvere un’epidemia di COVID-19 in diverse nazioni del mondo, Italia inclusa. E’ possibile stabilire una serie di parametri come la data introduzione dei primi casi e il loro numero, quanto rapidamente si diffonde il virus, o se inserire alcune misure di contenimento per un certo periodo e studiare che effetti hanno sul numero di casi, ospedalizzati e morti.
Proviamo allora a usarlo per costruire qualche scenario. Per cominciare possiamo guardare a come si comporterebbe un’epidemia di COVID-19 in un’Italia ipotetica in cui tutti fanno finta di nulla e proseguono a vivere e lavorare come se nulla fosse. Questo è ovviamente uno scenario del tutto immaginario e che non si verificherà mai, ma è un utile esercizio mentale per capire come si comporta il virus e che effetto hanno le varie misure di contenimento.
Date dieci infezioni iniziali e ipotizzando che ogni malato infetti in media altre 2,4 persone suscettibili alla malattia – un parametro in linea con quel che sappiamo finora del virus –, nel giro di quattro mesi saremmo arrivati al picco dell’epidemia, con in tutto circa 25 milioni di casi sintomatici e quasi 400mila morti. Il sistema sanitario italiano verrebbe sopraffatto, dato l’elevatissimo numero di pazienti da trattare contemporaneamente. Una prima conseguenza è la crescita della mortalità: chi ha un incidente stradale o un infarto non avrebbe più potuto ricevere cure d’urgenza e così via, per esempio.
Che effetto hanno su questo scenario le misure di contenimento? In sostanza quello di guadagnare tempo e appiattire la curva di casi, morti e ospedalizzati per spalmarli meglio rispetto alle capacità del sistema sanitario. Introducendo per esempio misure di media severità di lockdown, distanziamento sociale e chiudendo alcune scuole l’epidemia resta controllabile finché esse restano in vigore, ma torna rapidamente nel momento in cui esse vengono allentate. L’effetto generale è comunque di una riduzione nel numero di casi e morti sia al picco dell’epidemia che in totale.
La tempestività delle misure è essenziale. Ritardando anche solo di poche settimane l’introduzione del contenimento il numero di casi e morti al picco non viene fermato in tempo, e l’onda travolge il sistema sanitario con un moltissimi pazienti cui non è possibile far fronte.
Questo – insieme ad altri elementi – potrebbe spiegare in qualche misura anche come mai l’epidemia sta avendo conseguenze tanto diverse in giro per il mondo. La Corea del Sud per esempio ha agito con rapidità attraverso un’intensa politica di tracciamento, test e isolamento dei malati, con circa 250 morti nonostante fosse una delle prime nazioni colpite. Diversi altri paesi occidentali, a cominciare dall’Italia, si sono invece mossi male e in ritardo e lì il conteggio dei decessi è arrivato a decine e decine di migliaia.
Fra le nazioni europee chi invece è riuscito a contenere meglio l’epidemia è stata la Germania, anch’essa grazie (anche se non soltanto) a un’estesa politica di test. Nel paese teutonico al momento il numero dei morti è circa un quarto rispetto a Italia, Spagna, Francia o Regno Unito.
Per capire meglio cosa potrebbe succedere una volta allentate le misure di contenimento in Italia possiamo consultare uno studio preliminare dell’Imperial College di Londra, i cui autori e autrici hanno provato a stimare gli effetti di un ritorno all’attività della popolazione dopo il periodo di chiusura.
Al suo interno si legge che al 4 maggio le misure di contenimento hanno avuto il loro effetto un po’ in tutte le regioni italiane, riducendo sostanzialmente il numero di nuove infezioni e dunque di ospedalizzazioni e morti. Tuttavia persino nelle aree più colpite come la Lombardia si stima che sia stato colpito circa il 13% della popolazione, il che significa che anche solo lì ci sono ancora milioni e milioni di persone che potrebbero ancora essere colpite – dunque decine di milioni nell’intero paese. In buona parte del sud, d’altronde, l’epidemia ha colpito ancora meno dell’1% della popolazione, mentre per arrivare alla protezione garantita dall’immunità di gregge servirebbe circa il 70%.
Nel loro modello gli scienziati hanno analizzato tre scenari per i prossimi due mesi: uno in cui la mobilità delle persone rimane la stessa che in quarantena, uno in cui torna al 20% dei livelli pre-quarantena, e un altro in cui risale al 40% di quel valore. Il risultato è che bisognerà muoversi con estrema attenzione perché “anche un ritorno del 20% ai livelli di mobilità pre-quarantena potrebbe causare un aumento dei decessi molto maggiore di quanto si sia verificato nell’attuale ondata, in diverse regioni. Futuri aumenti nel numero dei decessi verranno osservati dopo l’aumento dell’intensità di trasmissione e quindi una seconda ondata non sarà immediatamente evidente con il monitoraggio giornaliero dei decessi”.
“I nostri risultati”, sottolineano gli autori, “suggeriscono che sia la trasmissione di SARS-CoV-2 che la mobilità devono essere monitorate attentamente nelle settimane e nei mesi a venire. Per compensare l’aumento di mobilità che si verificherà con il rilassamento degli interventi non-farmaceutici attualmente in vigore, l’adesione alle misure di distanziamento sociale raccomandate insieme ad una sorveglianza intensificata della trasmissione nella comunità con tamponi, il tracciamento dei contatti e l’isolamento tempestivo degli infetti sono di fondamentale importanza per ridurre il rischio di ripresa della trasmissione”.
Questi risultati, è fondamentale sottolinearlo, valgono in assenza di ulteriori misure come il potenziamento dei test o una efficace politica di tracciamento e isolamento delle persone colpite. “Nuovi interventi come l’aumento del numero di tamponi e il tracciamento dei contatti, contribuiranno verosimilmente alla riduzione della trasmissione; per questo motivo le nostre stime devono essere viste come proiezioni pessimistiche”.
Gli scienziati sono arrivati a queste conclusioni analizzando i dati di mobilità raccolti e pubblicati da Google per diversi luoghi come alimentari e farmacie, parchi, stazioni di transito, luoghi commerciali, abitazioni e luoghi di lavoro, trovando chiara corrispondenza tra le date in cui gli interventi di chiusura sono stati implementati e la diminuzione osservata della mobilità.
“Nello scenario al 20% stimiamo che il numero totale di decessi in eccesso vari tra 3.000 e 5.000, e nello scenario al 40% il numero totale di decessi in eccesso sarebbe tra 10.000 e 23.000”, si legge ancora. “Le morti evitate sono più numerose nelle regioni che hanno affrontato epidemie più grandi; il motivo dietro all’aumento della trasmissione è dovuto in gran parte al più alto numero attuale di infezioni. Passando più tempo in condizioni di mobilità simili alla quarantena prima che ci sia un aumento, il numero di morti evitate sarebbe verosimilmente molto inferiore in entrambi gli scenari. Si nota che il nostro modello non tiene conto dei movimenti tra regioni, che, dato l’incremento della mobilità, potrebbe portare ad un aumento delle infezioni e di conseguenza dei decessi, in regioni che non hanno affrontato grandi epidemie”.
Una cosa importante da tenere a mente nell’usare questi modelli è che non sono oracoli, né macchine da film che ci danno risposte esatte a domande difficilissime. I migliori modelli epidemiologici esistenti cercano di mettere insieme in forma matematica tutto quello che abbiamo imparato negli ultimi secoli su come le malattie nascono, si diffondono e poi scompaiono. Eppure c’è ancora tantissimo che non sappiamo, sia in generale che su questo virus in particolare. D’altronde fino a pochissimi mesi fa sul nostro pianeta nemmeno esisteva.
Come ha scritto l’epidemiologo Adam Kucharski, “è facile focalizzarsi sugli individui ma la scienza del COVID (e la scienza in generale) è un enorme sforzo collaborativo con diverse persone (spesso sottovalutate) che contribuiscono. Tantissimi, in molti gruppi e in molti paesi, stanno facendo straordinari per migliorare la nostra conoscenza del virus. E nonostante quello che dicono alcuni esiste un consenso scientifico crescente su alcuni punti chiave. Questa non è una blanda influenza. Se la popolazione mondiale non avesse cambiamento radicalmente comportamento, i sistemi sanitari sarebbero stati travolti. Se le misure venissero allentate troppo presto, potrebbe ancora succedere”.
L’autore ringrazia Gianluca Codagnone per l’aiuto durante il lavoro di ricerca per questo articolo.