Dal quattro maggio 4,4 milioni di italiani sono tornati al lavoro mentre al 2,7 restano ancora sospesi, mostrano le ultime stime della Fondazione Studi consulenti del lavoro. Pochi giovani, in larghissima al nord, sono dipendenti, più uomini che donne, e concentrati in particolare nell’industria.
Dal punto di vista dei settori è tornata al 100% l’attività nell’industria, dove d’altra parte era occupata una parte importante di coloro la cui attività era stata sospesa: parliamo qui di circa 2,7 milioni di persone, mentre altre attività come costruzioni o commercio oscillano fra 550-650mila occupati al rientro.
Molti di chi è tornato al lavoro sono in effetti dipendenti – un filo meno dell’80% del totale – ma troviamo pochissimi giovani sotto i 30 anni. Quasi il 60% di chi rientra, in effetti, ha fra 40 e 60 anni: oltre 2 milioni e mezzo di persone, mentre gli under 30 sono 570mila.
Questo riflette in parte il fatto che l’occupazione dei giovani in Italia era già molto bassa prima. A fine 2019 lavorava infatti appena il 39% dei 18-29enni, mentre nelle classi di età più centrali (45-54enni) il tasso di occupazione raggiungeva il 74%. Eppure, come sottolineano le stime dei consulenti dei lavoro, “su 100 occupati in settori sospesi, sono rientrati al lavoro dal 4 maggio il 48,8% degli under 30, il 59% dei 30-39enni, il 67,1% dei 40-49enni, il 68,7% dei 50-59enni; anche tra gli over 60 la percentuale è alta, pari al 60,1% di quanti sono rimasti a casa per effetto del blocco delle attività”.
La riapertura sarà poi anche concentrata soprattutto sull’occupazione maschile, che d’altra parte rappresenta una parte importante dell’industria, con 3,3 milioni di uomini al rientro (75%) e 1,1 milioni di donne (25%). È anche il risultato di un mercato del lavoro che penalizza fortemente le donne, che infatti già per cominciare hanno un posto molto di rado. Come mostra Eurostat, per esempio, fra le 20-64enni l’Italia è in coda per occupazione femminile e circa una su tre non lavora contro una media europea di una su quattro.
Chi è pronto a rientrare. Restano invece ancora “sospesi” circa 2,7 milioni di italiani e italiane, occupati in settori come i servizi come la ristorazione oppure nel commercio. Anche in questo caso si tratta di attività che solo in alcuni casi possono essere svolte da casa, e spesso svolte da persone più giovani rispetto a chi è già tornato al lavoro. Il loro profilo infatti risulta “opposto a quello di quanti stanno tornando al lavoro, a partire dalle caratteristiche socio anagrafiche. I lavoratori più giovani sono costretti a stare a casa più degli anziani: il 21% degli under 30 (contro il 13,1% dei 30-39enni, il 10,3% dei 40-49enni e l’8,4% degli over 50) non può tornare a lavorare, perché occupato in settori ancora coinvolti dal blocco. Stessa cosa vale per le donne: resta ancora a casa il 14,3% delle occupate, contro il 9,4% degli uomini. Anche gli autonomi, che hanno più diretto e urgente interesse alla ripresa lavorativa, sono ancora per il 17,8% costretti a casa. Mentre a livello geografico si conferma il ritardo di ripartenza al mezzogiorno. Su 100 lavoratori in settori “sospesi”, il 29,1% è al sud, il 22,2% al centro e il 48,7% al nord”.
Questa, in un certo senso, resta la fotografia scattata nell’ultimo momento possibile prima che gli effetti economici più pesanti dell’epidemia comincino a manifestarsi. Dal punto di vista del lavoro sono già emersi i primi segnali, ma con tutta probabilità il peggio deve ancora venire.
Le prime conseguenze, come c’era da aspettarsi, sono state di un generale peggioramento degli indicatori del mercato del lavoro. Partendo dai dati di marzo 2020 dell’Istat troviamo un lieve calo nel numero di persone che hanno un lavoro, con una forte crescita degli inattivi. In quel mese per la precisione sono 27mila in meno gli italiani e le italiane con un posto, con 267mila in meno in cerca di lavoro e 300mila inattivi in più.
Sembra dunque essersi definitivamente interrotta la serie moderatamente positiva degli ultimi tempi, che aveva visto gli occupati crescere negli ultimi cinque anni di circa un milione di persone e in effetti dava segni di affaticamento persino prima del COVID-19. Questo non significa che il mercato del lavoro fosse in buona forma – l’Italia era ed è storicamente una delle nazioni dove le persone hanno un posto meno di frequente, in particolari giovani, donne e nel meridione. Ma quanto meno dal punto di vista del numero di occupati c’era stato un certo recupero rispetto al crollo che ha fatto seguito alla crisi economica del 2008, per quanto ben inferiore rispetto a quello di altre nazioni sviluppate come Francia, Germania o Spagna. I prossimi mesi ci diranno quanto indietro siamo tornati, sotto questo aspetto.