Consideriamo il paziente A, 24 anni, con un punteggio di sopravvivenza a breve termine a di 3 su una scala da 0 (buona sopravvivenza stimata) a 4 (sopravvivenza stimata bassa) e nessuna condizione patologica preesistente. Il paziente B invece, ha 52 anni, ha un punteggio a breve termine di 2 e nessuna condizione preesistente.
Quale dei due salvare? Consideriamo ora due pazienti, entrambi con un punteggio a breve termine do 1 e nessuna condizione preesistente e della stessa età. A chi offrire la ventilazione?
Ora invece abbiamo il paziente E, 45 anni, con un punteggio a breve termine di 4 e nessuna condizione preesistente. Il paziente F, 74 anni, ha un punteggio a breve termine di 1 e un punteggio a lungo termine di 3 a causa di carcinoma metastatico in stadio avanzato. I punti del ciclo di vita vengono assegnati per rompere il pareggio: il paziente più giovane riceve un punto e il paziente più anziano riceve tre punti.
Di nuovo: quale indicatore vale di più?
Questo tipo di dilemma etico non è nato certo in tempo di COVID-19. Linee guida su questo tema hanno riguardato diversi contesti, dai disastri su vasta scala ai trapianti di organi. Dopo l’uragano Katrina nel 2005, ad esempio, i medici hanno dovuto decidere chi fuggire per primo dagli ospedali rimasti senza energia o acqua corrente mentre le temperature salivano sopra i 100 gradi fahrenheit.
Il New England Journal of Medicine (NEJM) ha pubblicato a marzo 2020 un documento che delinea i quattro valori etici che dovrebbero guidare il processo decisionale in materia di razionamento delle cure: primo, scegliere ciò che massimizza i benefici del trattamento: secondo, trattare equamente i pazienti; terzo, promuovere coloro che potrebbero aiutare gli altri, e ultimo: dare priorità a chi sta peggio.
Detta così sembra semplice. Si tratta di principi altamente condivisibili. Altra cosa però è tradurre questi principi in giustizia sociale, all’atto pratico: dipende da quali indicatori decidiamo di considerare e da come misuriamo il vantaggio.
Gli autori propongono nell’articolo sei raccomandazioni pratiche, che vorrebbero essere specifiche per l’allocazione delle risorse mediche nella pandemia di Covid-19. I sei consigli sono: scegliere ciò che massimizza i benefici; dare la priorità agli operatori sanitari; non assegnare in base al principio “primo arrivato, primo servito”; focalizzarsi sulle evidenze scientifiche; riconoscere la partecipazione alla ricerca; e applicare gli stessi principi a tutti i pazienti COVID-19 e non-COVID-19.
Si tratta comunque di raccomandazioni ancora generiche. Già nel 2009, the Lancet aveva provato a tradurre i macro valori etici in in pratiche di vita reale, basandosi sull’idea che ogni sistema sanitario è diverso, ognuno ha i propri punti di forza e i propri punti critici, che offrono una visione dei fattori fisiologici e sociali che andrebbero considerati quando si dà la priorità alle cure.
Il problema è che ognuna delle sei raccomandazioni – tutte sensate – vive intrinseche aporie, che aprono a diverse possibilità interpretative. Vediamo comunque le raccomandazioni del NEJM una per una.
“Prima il più malato”
Un approccio prioritario tratta prima i più malati. Nelle cure di emergenza, ad esempio, un paziente affetto da infarto “sorpassa” un paziente con un braccio rotto. È la logica a ci assistiamo in Italia nella gestione del Triage al Pronto Soccorso: il codice giallo passa avanti al verde, il rosso al giallo, e via dicendo.
In emergenza però questo approccio presuppone che i vincoli delle risorse siano temporanei e che presto saranno disponibili risorse aggiuntive per il trattamento di altri pazienti.
Il punto è durante un periodo di scarsità prolungata, come l’attuale pandemia di COVID-19, questo approccio non considera l’elemento tempo: il trattamento di un paziente gravemente malato per un lungo periodo di tempo è più “efficiente” rispetto al trattamento rapido di diversi pazienti meno malati?
“Trattare i pazienti in modo equo”
Sulla definizione di “equità” nella distribuzione delle risorse (non solo in ambito sanitario) c’è molta letteratura, ed è oramai unanime l’assenso intorno al concetto secondo cui la vera equità non è dare lo stesso a tutti indistintamente, ma distribuire equamente considerando le condizioni di partenza di un individuo. L’inglese a questo proposito usa due termini diversi – equality ed equity– per esprimere tale sfumatura.
Un approccio egualitario (in termini di equality) prevede che i pazienti abbiano le stesse possibilità di accedere al trattamento ma non significa necessariamente un’allocazione equa delle risorse. Un paziente molto malato selezionato per primo potrebbe utilizzare molte risorse, ad esempio creando una scarsità ancora maggiore per i pazienti selezionati in seguito.
“Massimizzare i benefici del trattamento”
Un approccio “utilitaristico” prevederebbe di allocare più risorse a chi statisticamente ha una maggiore probabilità di beneficiarne più a lungo. Un esempio potrebbe essere quello di preferire chi ha più anni di vita davanti, che significa privilegiare la persona più giovane con più anni da vivere. Ma si può anche intendere la “massimizzazione dei benefici” come cercare di salvare più vite possibile, al di là della qualità della vita che si prospetta al paziente.
In questo modo si darebbe la priorità ai pazienti con sintomi meno gravi perché sembrano avere maggiori probabilità di guarire. A New York – riporta Reuters – hanno elaborato questo indicatore: prima che il paziente sia sottoposto a ventilazione artificiale, il suo punteggio di sopravvivenza a breve termine è determinato da una valutazione sequenziale di insufficienza d’organo, con quattro colori: i pazienti “verdi” non hanno bisogno di un ventilatore, i “gialli” devono attendere, i “rossi” hanno la priorità mentre le persone considerate “ bollino blu” sono quelle i cui organi sono estremamente compromessi, e dunque si ritiene abbia meno senso proporre loro la ventilazione.
Ma ci sono anche altri fattori che possono influenzare la scelta: per esempio il “Valore sociale” del paziente in questione, cioè dare la priorità all’assistenza per i leader del governo, ai professionisti, i capifamiglia o agli operatori sanitari.
Tornando agli esempi iniziali, il sistema decisionale del Maryland – riporta Reuters – salverebbe fra i pazienti A e B quello con il punteggio più basso, cioè con migliore sopravvivenza a breve termine. Fra C e D sceglierebbe a caso, mentre fra E ed F sceglierebbe ancora una volta il paziente con punteggio minore, cioè il 45 enne senza patologie pregresse, seppur con minor probabilità di sopravvivenza sul breve termine.
In ogni caso, indipendentemente dal fatto che i protocolli diano la priorità ad alcuni fattori rispetto ad altri, la loro efficacia dovrà essere valutata regolarmente quando sorgono nuove situazioni e saranno disponibili nuovi dati sugli esiti dei pazienti e altre opzioni di trattamento.