Da quando è cominciata l’epidemia di COVID-19 la Lombardia è stata al centro dell’attenzione, intanto perché i focolai sono cominciati da lì.
Ma i grandi numeri possono far passare in secondo piano altre aree colpite in maniera molto dura dal virus, in particolare se piccole. È il caso della Valle d’Aosta, che risulta al momento la seconda regione italiana per numero totale di decessi rispetto al numero di abitanti. Se in Lombardia, al 14 giugno, è stato possibile confermare 164 morti ogni 100mila abitanti risultati positivi al virus, in Valle d’Aosta sono stati 115: più rispetto alla terza area, la Liguria, dove sono stati 98.
I decessi in Valle d’Aosta hanno cominciato a crescere a qualche giorno di distanza rispetto alla Lombardia, per poi prendere un’accelerazione simile e talvolta persino più rapida. Soltanto a inizio aprile le due curve hanno iniziato a piegare verso il basso in maniera più decisa, ma a oggi con risultati diversi.
Nella piccola area di confine i morti si sono appiattiti fino praticamente ad azzerarsi, tanto che secondo la protezione civile dal 4 maggio al 14 giugno sono stati appena cinque, e nessuno nell’ultima settimana. La Lombardia, d’altra parte, rappresenta ancora oggi la regione in cui l’epidemia resta meno sotto controllo.
Il rapporto congiunto di Istat e Istituto superiore di sanità relativo al primo quadrimestre 2020 conferma che la Valle d’Aosta è risultata al secondo posto in Italia per decessi confermati, preceduta soltanto dalla Lombardia. Il tasso di mortalità standardizzato per COVID-19, una misura che conta quanti sono stati i morti per questa malattia tenendo in conto anche altri fattori tra cui l’età, è arrivato a 130 decessi ogni 100mila abitanti per la Lombardia e a 94 per la Valle d’Aosta, con un aumento dei morti del 61% a marzo e del 71% ad aprile rispetto allo stesso periodo degli anni 2015-2019.
Un’analisi del Financial Times basata su dati Istat ha trovato che in Valle d’Aosta la mortalità in eccesso è stata del 50% rispetto agli anni precedenti. In questo caso si tratta di un dato meno estremo – per quanto pur sempre grave – rispetto ai decessi contati dalla protezione civile, e in linea con quanto è successo anche in Trentino-Alto Adige o nelle Marche.
Parliamo in tutto di cento morti in più in confronto a quanto ci si aspettava in una situazione normale, che per una comunità piccola come quella della Valle d’Aosta, con i suoi 125mila abitanti, rappresentano un grosso peso. È, per fare un confronto con le rispettive popolazioni, come se in Lombardia fossero morte circa 8mila persone in più rispetto al “normale”.
Un confronto molto semplice fra il prima e il dopo arriva anche dai numeri raccolti dal sistema di monitoraggio della mortalità giornaliera, un programma che analizza quasi in tempo reali i decessi in alcune fra le principali città italiane. Nel settimo rapporto, compilato insieme da Ministero della salute e dipartimento di epidemiologia della regione Lazio, troviamo che nella città di Aosta al 27 aprile e lungo l’arco di 54 giorni osservati i morti osservati sono stati 132 contro i 58 attesi, con un aumento del 128%.
A inizio febbraio nella città c’erano state al più 10-11 morti a settimana, che a fine marzo sono diventate poi prima 27, poi 31, per poi tornare a valori non più estremi a fine aprile. Come è successo altrove, i decessi si sono concentrati molto sulle persone più anziane. Sono infatti morte 2 o 3 persone a settimana fra 75 e 84 anni prima delle fasi più acute dell’epidemia, poi balzate a 6 e poi 11 sempre a fine marzo. I decessi sono anche triplicati in alcune settimane per gli ultra 85enni, passando da 5-6 a un picco di 18 a fine mese.
Una delle ragioni che hanno consentito alla Valle d’Aosta di controllare meglio l’epidemia, rispetto di nuovo alla Lombardia, potrebbe essere nel numero di test condotti. Per capire quanto, esattamente, conviene guardare a quanti casi sono stati testati per ogni persona deceduta.
Aree diverse devono infatti necessariamente controllare un numero diverso di persone, e lì dove i focolai si sono estesi di più diventa fondamentale testare un maggior numero di individui. Facendo questo confronto, troviamo che la Valle d’Aosta ha appunto condotto molti più test rispetto alla Lombardia: oltre il doppio, in effetti, rispetto all’estensione dell’epidemia. Già verso metà aprile, per esempio, per ogni deceduto bisognava testare 30 casi in Valle d’Aosta contro i 15 lombardi. Nel divario poi il divario non ha fatto che allargarsi, e al 13 giugno nella prima siamo arrivati a 88 contro i 32 della seconda.
Si tratta di numeri migliori, certo, ma in maniera relativa. Se al confronto aggiungiamo anche il Veneto, che è una delle regioni che di test ne ha condotti di più, anche il risultato della Valle d’Aosta diventa più modesto e forse spiega – insieme ad altre ragioni – come mai comunque i focolai si sono estesi tanto, almeno in una prima fase.
Il lockdown e i comportamenti spontanei dei cittadini hanno ridotto in maniera significativa i contatti e dunque le occasioni di contagio. Questo, sottolineano molti epidemiologi, è uno (benché niente affatto l’unico) dei fattori fondamentali per tenere sotto contro l’epidemia in mancanza di cure o di un vaccino.
Due diversi studi pubblicati su Nature suggeriscono che la riduzione nella mobilità – imposta dai governi o assunta volontariamente dalle persone – sia servita a ridurre in maniera sostanziale, per il momento, gli effetti peggiori dell’epidemia, salvando moltissime vite.
Anche nelle aree più colpite come la Valle d’Aosta si stima che soltanto una piccola parte della popolazione sia stata colpita finora, e i test sierologici condotti nel resto del mondo sembrano confermare questa ipotesi, in attesa di quel che dirà l’analisi sul campo che si sta svolgendo in questi giorni nel nostro paese. Uno studio dell’Imperial College di inizio maggio, per esempio, stimava che in Valle d’Aosta fosse stato colpito fino a quel momento circa l’11% della popolazione, con le conseguenze che abbiamo visto, lasciando dunque ancora a rischio la maggior parte degli abitanti dell’area.
A oggi la situazione in regione resta tutto sommato sotto controllo, e il numero di casi giornalieri è tornato a livelli molto bassi. I bollettini settimanali prodotti dall’Istituto superiore di sanità mostrano che in Valle d’Aosta il numero medio di nuove persone contagiate da un malato resta stabilmente sotto l’unità, a indicare un’epidemia che si contrae.
Al momento, come ha segnalato Cristina Da Rold su Infodata, la fonte più aggiornata e dettagliata per sapere come stanno andando le cose è rappresentata probabilmente dai bollettini periodici pubblicati dalla regione.
L’ultimo, aggiornato al 15 giugno, sottolinea che sono stati testati finora circa 12.829 casi, di cui 1.191 risultati positivi. Le persone attualmente positive sono scese a 15, di cui sette ricoverate, con 1.032 guariti e 144 decessi.
Dato curioso, infine, quello delle verifiche effettuati dalle forze dell’ordine, che hanno effettuato 532 controlli ma con zero sanzioni in totale.