Nel complesso, oltre a cercare di verificare quanto spesso le persone indossano mascherine, la pubblicazione congiunta di Royal Society e British Academy, ha anche riassunto quali sono le evidenze sulla loro efficacia. Anche quelle in tessuto, se indossate, hanno una qualche efficacia nel proteggere da un eventuale contagio – assumendo però che siano fabbricate in maniera adeguata, indossate e mantenute correttamente. Esse non sono però uno strumento magico né risolvono tutto da sole, ma anzi vanno inserite in un contesto più ampio di misure come l’uso di igienizzanti per le mani, distanziamento sociale e così via.
Al contempo bisogna distinguere fra mascherine e mascherine, perché esistono gradi crescenti di protezione (e di costo) che vanno da quelle comuni in tessuto o cotone, alle chirurgiche, fino ad arrivare alle N95 o FFP1/2/3 che invece sono le migliori, per quanto ben difficili da reperire.
Quante alle prime il numero di studi che hanno provato ad analizzarne l’efficacia è piuttosto ridotto, ma suggeriscono comunque una riduzione statisticamente significativa del rischio in chi le indossa. L’uso di maschere di cotone è stato associato a una riduzione del rischio del 54% rispetto al gruppo di controllo che non ne faceva ricorso, con un campione totale dello studio di 746 persone. Aggiungendo anche altri studi su mascherine di carta la riduzione del rischio si aggira intorno al 50%.
Questi, come anticipato, sono i risultati relativi alla sola protezione di chi le indossa. Un recente studio pubblicato ad aprile 2020 ha esaminato le prestazioni di alcune mascherine di diversi tessuti nel caso specifico del COVID-19, a intendere la capacità di filtrare il virus. I risultati sono stati migliori quando venivano usati diversi strati di materiale, e in particolare alcuni tipi specifici di cotone sono apparsi “particolarmente buoni nel filtraggio”. Ancora migliori i risultati di materiali ibridi come cotone-seta. L’efficacia viene però ampiamente pregiudicata se le mascherine non sono indossate correttamente, ovvero strette al viso e senza fori che facciano passare l’aria.
Per quanto almeno in Italia l’efficacia delle mascherine sia ormai data per scontata – anche se questo non ne garantisce l’uso –, in altre nazioni come gli Stati Uniti essa è diventata anch’essa una questione politicizzata. Più in generale, il modo di affrontare l’epidemia nella nazione americana non ha né consentito di prevenirla sul nascere, come è stato per casi di successo quali la Corea del Sud. Ma neppure di intervenire in maniera radicale tramite misure di chiusura quando ormai i focolai si erano diffusi troppi e non c’era più alternativa, come invece è stato il caso di diverse nazioni europee – Italia in primo luogo.
Il risultato è stato piuttosto una riapertura prematura in molti stati, in particolare Florida, California, Arizona e Texas, che ora sta portando a una nuova impennata di casi e di ricoveri, con il numero di morti che ha ricominciato a salire dopo un paio di mesi in calo.