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La partecipazione politica in Italia e la disuguaglianza. I più svantaggiati sono i meno interessati

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“A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?”. Oggi ricorre l’anniversario della morte di Don Lorenzo Milani, il prete degli ultimi, che ha reso il piccolo borgo di Barbiana un’icona dell’Italia del Novecento. Oggi, 26 giugno 2020 alle ore 18, NonUnaDiMeno invita a scendere in piazza, in tutta Italia, per ribadire l’urgenza di non perdere di vista la lotta contro il gender (pay) gap, e contro la discriminazione patriarcale – esistita ed esistente – esacerbata dal COVID-19. “Ci tolgono il tempo, riprendiamoci tutto”, è lo slogan della giornata.

Una delle sfide che ci si può attendere da questa pandemia è una maggiore coscienza della necessità di partecipazione politica. La situazione è oggi ai minimi termini. Una nota Istat diffusa in questi giorni riporta che fra il 2014 e il 2019 la quota di persone di 14 anni e più che non partecipano alla vita politica è passata dal 18,9% al 23,2%.
Solo una persona su quattro non partecipa per preciso disappunto rispetto ala classe politica, che è in qualche modo una forma di partecipazione, nel resto dei casi si tratta di disinteresse. Le donne ancora oggi si occupano meno di politica: partecipano meno ai comizi (lo fa il 2,8% contro il 5,6% dei maschi), non svolgono attività di volontariato per un partito (0,5% contro 1,2%) o danno soldi (1,3% contro 2,0%). Pare invece che la loro partecipazione a cortei sia simile a quella dei maschi, comunque bassa (partecipa il 3,8% delle donne e il 4,1% dei maschi). I giovani fra i 14 e i 19 anni partecipano di più ai cortei, ma i maschi meno delle ragazze: il 11,3% contro il 14,5%.

Le donne sono meno informate degli uomini
Partecipare e interessarsi di politica sono due cose che non coincidono. Tre cittadini italiani su quattro con più di 14 anni partecipa alla vita politica attraverso forme “invisibili”, indirette dice Istat. E soprattutto ci si informa di politica, dunque, più di quanto se ne parli, e non è una sfumatura. Le donne poi, si informano di politica meno dei maschi. La metà delle persone si informa di politica almeno una volta a settimana (solo il 27,2% ogni giorno), ma il 35,5% non ne parla mai (quasi 7 milioni di uomini e 11,7 milioni di donne) mentre il 27,6% non si informa (5,5 milioni di uomini e 8,9 milioni di donne). Un cittadino su tre parla di politica almeno una volta a settimana e solo il 7,5% lo fa quotidianamente. Tutte le voci citate da Istat hanno visto un calo della partecipazione dal 2014 al 2019, tranne la percentuale di persone che si informano di politica su Internet, cresciuta del 14%. Oltre un quarto delle persone di 14 anni e più (il 27,6%) non si informa di politica attraverso le fonti tradizionali né attraverso il web: si tratta soprattutto di giovani (14-24 anni, oltre il 30%) e anziani (75 anni e più, 34% circa). Tra le donne le percentuali sono superiori (32,9% contro 21,9%) e il divario di genere tende ad aumentare con l’età. La percentuale più alta di disinteressati si registra nel Mezzogiorno (66,5%), quella più bassa al Centro Italia (61,6%) dove si rileva anche il più alto livello di sfiduciati (26,8%).

L’operaio e la casalinga sono quelli che partecipano di meno
Un aspetto cruciale della partecipazione politica del XXI secolo è che l’interesse per la politica è legato alla posizione nel mercato del lavoro: i più svantaggiati si interessano e partecipano meno dei dirigenti. Non si occupa o si interessa di politica il 10% degli imprenditori e dei dirigenti e il 30% degli operai. Tra gli occupati si attesta al 20% circa e raggiunge il 36,6% tra i disoccupati. La categoria più esclusa è quella delle casalinghe, che in Italia sono oltre 7 milioni: il 41% di loro non si informa mai di politica. Fra le donne del Mezzogiorno quasi il 44% non si informa di politica (meno del 30% fra gli uomini). Come non ripensare all’esortazione “I care” che lo stesso Don Milani fece scrivere sulla porta della sua scuola. Chiaramente la partecipazione politica è direttamente proporzionale al titolo di studio: il 38,8% di chi ha al massimo la licenza elementare si mostra totalmente indifferente alla partecipazione politica rispetto al 17,1% dei diplomati e all’8,8% dei laureati. L’assenza di partecipazione politica è legata alla dimensione lavorativa, riguarda il 16,6% degli occupati e il 30,7% dei disoccupati; tra le donne si osserva uno scarto analogo tra occupate (19,8%) e casalinghe (36,2%).

L’autodeterminazione passa per l’autocoscienza, e per l’ampliamento dell’accesso al sapere. “L’Italia ha molto più bisogno di tanti laureati mediamente bravi, piuttosto che di pochi eccellenti; e che, in ogni caso, le benedette eccellenze si affermano estendendo e moltiplicano l’accesso al sapere, non restringendolo e limitandolo” scriveva il 23 giugno scorso Matteo Di Gesù su DoppioZero.
Nei giorni scorsi è uscito anche il Rapporto 2020 di AlmaLaurea sul profilo professionale dei laureati, che conferma le solite differenze di genere e geografiche,: i ragazzi hanno il 19,2% di probabilità in più di essere occupati rispetto alle donne, e chi risiede al nord ha il 40,0% di probabilità di essere occupato rispetto a chi risiede al Sud. E ancora: chi ha studiato al nord ha il 63,7% di probabilità di essere occupati rispetto a quanti hanno studiato nel Meridione. “Negli anni orribili della recessione – scrive Ivano Dionigi, Presidente di AlmaLaurea – abbiamo perduto 70mila matricole. […] Il rischio attuale è quello di perdere altre matricole, ma se perdiamo anche solo una matricola, abbiamo perso tutti. La scuola e l’università sono gli avamposti culturali da cui il Paese deve partire per rialzarsi, affrontando il problema strutturale del diritto allo studio, il tema del Sud e quello delle donne, che in questa fase difficile vedono ulteriormente consolidato il loro svantaggio”.

Ancora e ancora TV
Gli strumenti di informazione giocano un ruolo non secondario nella percezione politica: la forma è contenuto, e la forma predominante è ancora quella televisiva, la cui fruizione è l’unica a non essere calata negli ultimi cinque anni (passando da una prevalenza di utilizzo del 90,2% all’89,2%). Si riduce invece la lettura di informazioni politiche sui settimanali (dal 9,8% al 7,5%) e, in misura considerevole, sui quotidiani (dal 40,2% al 33,3%). Solo la radio aumenta il suo rilievo per informarsi di politica (dal 30,2% al 32,1%), ma solo fra chi ha studiato e ha un buon lavoro. Il 45,1% dei laureati e il 48,6% tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti si informano di politica tramite la radio e, rispettivamente, il 49,9% e il 51,3% tramite i quotidiani. Tra chi ha la licenza elementare il 14,1% usa la radio e il 19,0% i quotidiani quote che salgono a 34,2% e 24,4% tra gli operai.
Internet e social media sono ormai due fenomeni diversi
Negli ultimi 5 anni, fra chi si informa di politica tramite Internet, cresce il ricorso esclusivo ai social network (siamo passati dal 9,5% al 19,8% di utilizzatori) e cala quello della stampa on line (dal 41,1% al 33,1%. L’utilizzo esclusivo dei social network come canale di informazione politica ha superato in termini percentuali quello della stampa on line tra i giovani fino a 34 anni, è raddoppiato tra i 35-54enni (dall’8,9% al 18,9%) e quasi triplicato tra gli over 54 (da 5,6% a 15,1%).
Ma anche l’utilizzo di Internet come canale di informazione politica, lungi dall’essere veicolo di equità sociale, aumenta al crescere del titolo di studio, e da questo punto di vista si osserva una dicotomia fra “internet” e i “social media”. È molto elevato il divario tra laureati e chi ha conseguito la licenza media (il 67,8% dei laureati si informa di politica su internet contro 29,8% dei non diplomati) e si mantiene costante in tutte le classi di età, anche fra i giovani. Al contrario, la diffusione dei social network come unico canale di informazione ha interessato le persone indipendentemente dai livelli di istruzione, anche se il ricorso esclusivo a questo tipo di canale è più diffuso tra coloro che hanno titoli di studio medio-bassi.