Il sistema sanitario inglese ha perso le informazioni relative a circa 16mila i pazienti positivi al Sars-CoV-2. Motivo? Non ha tenuto in considerazione i limiti di righe di Microsoft Excel. Un’episodio che strapperebbe un sorriso, se non fossimo nel mezzo di una pandemia. E se non fosse che, scrive il Guardian, a causa di questo errore circa 50mila persone potenzialmente infette sono rimaste escluse dai meccanismi di contact tracing. Non esattamente lo scenario ideale in un Paese in cui la curva dei contagi è salita ben oltre i livelli della scorsa primavera:
Fortunatamente nel Regno Unito, così come in Italia, la situazione nelle terapie intensive è molto diversa da quella della scorsa primavera. Ma perdere per strada 16mila positivi non è esattamente il miglior viatico per mantenerla tale. Specie se lo si fa per un errore tutto sommato banale. E l’errore sta nel non considerare che Excel, ma vale anche per software open source come Libre Office, ha un limite di righe.
Sì, dopo 1.048.576 righe, non è più possibile aggiungere altre informazioni. Un limite che nelle versioni più vecchie era di appena 65.536 righe. E, sempre secondo il Guardian, è possibile che Public Health England, ente che si occupa del monitoraggio dei casi come fa la Protezione civile italiana, stesse usando una versione datata del software. Il problema è che se si aprono file con più righe di quelle consentite, ad esempio un file .csv, quelle in eccesso vengono tagliate. E, appunto, si perdono i dati dei pazienti positivi.
Un errore banale, insomma. Ma che, date le circostanze, rischia di avere un impatto sulla salute pubblica. E se tutto questo strappa nel lettore un sorriso pensando a qualche funzionario britannico ‘pasticcione’, si ricordi che qualcosa del genere è avvenuto anche in Italia. Con l’aggravante che è successo in piena prima ondata.
Si tratta delle mail che i medici piemontesi inviavano alle Asl per segnalare potenziali casi di Covid-19, che però finivano perdute perché le caselle di posta elettronica dei destinatari erano sature. Tutto questo per dire che il digitale è sì una tecnologia abilitante. Ma che, per dispiegare ogni sua potenzialità, qualche abilità nell’utilizzo la richiede.