Dipende, chiaramente. Ma di certo prima della pandemia in media la formazione online non era un’abitudine per tutti: solo la metà degli insegnanti italiani, per esempio, aveva seguito un corso di formazione a distanza per la propria formazione. E in alcuni paesi le percentuali erano anche più basse.
Sicuramente chi ha aperto questo articolo, se interessato al tema, ricorderà la survey PISA, sempre di OCSE, pubblicata nell’estate 2020 che evidenziava un’Italia al 72° posto (su 79) per le competenze tecnico-digitali degli insegnanti“. Come rilevava ROARS (e noi abbiamo verificato), si trattava però di un sondaggio condotto fra i presidi, a cui era stato chiesto se secondo loro i propri insegnanti possedevano le competenze informatiche e pedagogiche per sistemi di didattica integrata come la DAD. Metodologicamente non è un dettaglio di poco conto, perché significa basarsi sulle impressioni dei dirigenti scolastici, non su un sistema solido di misurazione delle competenze.
In questi giorni Ocse ha pubblicato, come ogni anno, il rapporto Education at a Glance, che fa il punto sul sistema educativo dei paesi dell’area OCSE, inclusa l’Italia. Troviamo un box che raccoglie alcuni dati su quanto gli insegnanti europei siano stati pronti, in termini di competenze, a passare alla DAD, la Didattica a Distanza. Come spesso accade con OCSE, i nuovi rapporti in realtà non è detto che riportino nuovi dati. Si tratta di fare sintesi su dati già raccolti in precedenza. La fonte primaria dei dati del Rapporto Annuale 2020 è il sondaggio TALIS 2018 – Teachers and School Leaders as Lifelong Learners, che interroga insegnanti e presidi sulla formazione a cui hanno partecipato nei 12 mesi precedenti all’intervista.
La formazione online dell’insegnante prima del Covid
Fatta questa premessa e venendo ai risultati, vediamo che in media gli insegnanti hanno frequentato circa quattro diversi tipi di attività di sviluppo professionale continuo nei 12 mesi precedenti l’indagine e l’82% degli insegnanti riferisce che le attività di sviluppo professionale a cui hanno partecipato hanno avuto un impatto sulle loro pratiche di insegnamento. Gli insegnanti italiani si formano molto: l’81% di loro ha frequentato dei corsi di persona, e il 49% corsi online. È evidente che una buona parte ha fatto entrambi.
I dati sullo sviluppo professionale mostrano che, in media, nei paesi Ocse, il 36% degli insegnanti di scuola secondaria inferiore (scuola media) ha dichiarato di aver partecipato a corsi o seminari online, meno della metà della quota che ha partecipato a corsi o seminari di persona.
Sono pochi anche gli insegnanti iscritti a corsi di studio come a corsi di laurea o master, e in Italia non abbiamo certo le percentuali più alte (12%).
Quasi dappertutto nel mondo prima della pandemia l’online era meno considerato una fonte per la formazione rispetto ai corsi erogati in presenza, tranne rare eccezioni come la Corea e Shanghai (Repubblica popolare cinese), dove oltre il 90% degli insegnanti ha dichiarato di aver intrapreso uno sviluppo professionale online nell’ultimo anno.
Il rapporto rileva che le due principali sfide che gli insegnanti citano nella propria professione sono, nell’ordine: supportare gli alunni con difficoltà e destreggiarsi con le nuove tecnologie. Anche se alla domanda “che cosa ha un maggiore impatto sulla didattica?” rispondono “i programmi basati sui contenuti, che riguardano cioè le materie curricolari e l’implementazione di approcci collaborativi all’istruzione.”
In ogni modo, rileva Ocse, la frequenza con cui gli insegnanti fanno utilizzare agli studenti le competenze informatiche per progetti o lavori in classe è aumentata in quasi tutti i paesi dal 2013, al punto che il 53% degli insegnanti in tutta l’OCSE riferisce frequentemente o utilizza sempre questa pratica.