Ogni giorno sentiamo in televisione o leggiamo sui social media opinioni di economisti secondo cui bisognerebbe prendere misure di diverso tipo per limitare i danni causati dalla pandemia di Covid-19, e orientarsi può essere difficile. Una approccio utile può essere cercare di capire qual è il consenso delle opinioni, se ne esiste uno, e cosa suggerisce di fare. Mettendo insieme le diverse voci cosa viene fuori?
Premesso che gli economisti accademici sono tantissimi, e certamente non si può sentirli uno per uno, una delle cose che ci va più vicino – pure con diversi limiti – è un panel di decine di loro messo in piedi dalla collaborazione fra la Chicago Booth School of Business e Fivethirtyeight, cui viene chiesto regolarmente come la pensano su vari aspetti di politica economica.
Nella sua versione più recente è stato chiesto agli economisti se a loro avviso l’economia – nel caso in questione quella americana – sarebbe stata più in salute con politiche di chiusura più aggressive. Il 74% di loro si è detto d’accordo, affermando che l’economia degli Stati Uniti sarebbe ora in una posizione migliore se le chiusure fossero stati più dure nelle fasi iniziali della crisi.
Come ha raccontato Neil Paine su Fivethirtyeight, la ragione più citata è stata che un controllo precoce sul virus avrebbe consentito un ritorno più semplice e ampio dell’attività economica in seguito. “Chiusure più aggressive avrebbero posto il paese in una posizione migliore, da un punto di vista sanitario, per arrivare in autunno e inverno”, ha commentato Andrew Patton, professore di economia e finanza alla Duke University. In più “avrebbero mandato un segnale più chiaro alla nazione che dobbiamo prendere il virus sul serio, e lavorare insieme per portarlo sotto controllo”. Parafrando un recente articolo sul New York Times di Ashish Jha, dean della Brown University’s School of Public Health, Patton ricorda che “nelle piscine non c’è un’area per fare pipì”, a intendere che è impossibile avere una sola area bloccata mentre le altre proseguono a vivere come se nulla fosse – i contatti e dunque i contagi sono inevitabili. Intuizione che vale anche a proposito delle proposte di isolare gli anziani e lasciare che i giovani si contagino perché a minor rischio di morte.
Il restante 26% punta spesso proprio su quest’ultima idea, suggerendo invece che i lockdown avrebbero dovuto essere meno aggressivi e si sarebbe invece dovuto proteggere soltanto i gruppi più a rischio come gli anziani. Una proposta, tuttavia, che il consenso di epidemiologici e altri esperti di sanità pubblica giudica impraticabile e per la quale in effetti non sono mai state fornite precise indicazioni operative. Altro tema di questa minoranza di rispondenti è che i lockdown non hanno avuto chissà quale effetto, giudizio che però contrasta con diversi studi scientifici secondo cui per esempio in Europa sono state proprio le chiusure a spegnere un’epidemia che in primavera era andata fuori controllo.
La maggioranza dei proponenti dei rispondenti, continua l’articolo, suggerisce invece di guardare all’esperienza di paesi come il Giappone per esempi di come ridurre il contagio a livelli molto bassi consente poi una rapida ripresa economica. Si tratta di nazioni dove i morti sono stati una frazione di quelli in Europa o negli Stati Uniti, e dove l’efficacia delle misure ha consentito persino di tenere molte più attività aperte rispetto ad altri paesi – Italia inclusa – dove il virus è stato in larga parte libero di circolare indisturbato, rendendo alla fine inevitabile un lockdown durissimo. Ridurre al minimo la circolazione del virus ha anche consentito di tornare agli studenti di tornare prima fisicamente a scuola, quanto meno nelle nazioni che poi hanno messo in piedi a mantenuto attive misure di sorveglianza e controllo per soffocare anche il più piccolo numero di casi di COVID-19 scovati.
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