In un articolo precedente abbiamo raccontato che capire come la pensano gli economisti sulle misure da prendere, per ridurre i danni della pandemia di COVID-19, non è semplice. Il meglio che abbiamo al momento, probabilmente, è un’aggregazione delle idee di alcune decine di importanti economisti portata avanti da una collaborazione fra Fivethirtyeight e la Chicago Booth School of Business. Naturalmente la comunità scientifica degli economisti accademici è molto più ampia, per cui questo genere di evidenze devono essere interpretate con cautela. Il panel di intervistate e intervistati, va poi ricordato, non è sempre composto dalle stesse persone.
Chiarito questo, come anticipato l’ampia maggioranza di chi è stato sentito ritiene eventuali misure di chiusura necessarie, perché a lungo termine i problemi economici causati da un’epidemia fuori controllo sono con tutta probabilità ben maggiori – per non parlare del numero elevatissimo di morti che ne seguirebbero.
Dall’inizio dell’epidemia abbiamo avuto ormai quasi un anno per approfondire la nostra conoscenza del virus, e oggi per quanto ci sia ancora tantissimo da scoprire quanto meno ne sappiamo molto di più rispetto alla scorsa primavera. In questo senso anche l’opinione degli economisti potrebbe essersi evoluta, sulla base di nuove evidenze. Tornando allora indietro, dicevano le stesse cose di adesso oppure altre?
Nel complesso l’opinione prevalente delle persone censite in questa rilevazione non sembra essere mutata molto. Un articolo del Financial Times dello scorso aprile, in piena prima ondata, parlava di un “sorprendente grado di consenso fra i migliori economisti in favore dei lockdown”.
Abbandonare pesanti lockdown fin tanto che il rischio di un ritorno del contagio resta alto porterebbe a un danno economico maggiore che mantenere le chiusure, era l’idea cui si è dichiarato d’accordo l’80% degli intervistati americani, con alcun incerti ma non una singola persona contraria. Fra gli economisti europei, il 65% riteneva che chiusura di imprese non essenziali e importanti limitazioni al movimento delle persone probabilmente sarebbero state meglio per l’economia, nel medio periodo, rispetto a misure meno aggressive. “Appena il 4% era in disaccordo”, nota l’autore dell’articolo.
In una versione successiva del panel, a luglio, gli economisti intervistati dovevano giudicare quale nazione a loro avviso sarebbe tornata per prima al livello di attività economica che c’era prima dalla pandemia. Il 90% di loro ha indicato la Cina, dove le morti confermate sono state appena poche migliaia e l’epidemia è rimasta dunque sotto controllo.
Certamente le risposte non indicavano particolare fiducia nella risposta degli Stati Uniti o dell’Unione Europea. Secondo Jonathan Wright, professore di economia alla Johns Hopkins University, questa risposta dipende da tre fattori: la crescita della Cina è stata assai rapida, in primo luogo, e poi quel paese ha a disposizione strumenti di stimolo fiscale non disponibili in economie meno centralizzate come quella americana o europea. Ma parte, va sottolineato, dipende anche dalla reputazione del governo cinese di pubblicare talvolta dati particolarmente favorevoli. “Alla fine della fine”, ha ricordato Wright, “se non gli piacciono i dati veri possono sempre modificarli un po’”.
Lo stesso questionario ha chiesto agli economisti qual era, secondo loro, il fattore di rischio maggiore per la mancata crescita economica futura. L’opzione indicata più spesso è stata quella della necessità di interrompere le riaperture a causa di una circolazione del virus ancora troppo elevata fra la popolazione. Anche in questo caso, oltre a politiche di sostegno delle comunità locali, viene sottolineato il prerequisito di mantenere la diffusione del virus al minimo possibile perché il resto dell’economia possa funzionare.
“Fin tanto che c’è una crescita esponenziale dei contagi non sono sorpresa che ci sia consenso per la necessità dei lockdown”, ricordava la presidente del Centre for Economic Policy Research Beatrice Weder di Mauro al Financial Times. Molti economisti, si legge ancora nell’articolo, si rimettono al giudizio di epidemiologi ed esperti di sanità pubblica per capire quando il contagio si potrà dire sotto controllo. “Dovremmo togliere le restrizioni non appena possibile, una volta che ci sono abbastanza test e misure per contenere il virus”, concludeva di Mauro, “ma per il momento il problema resta sanitario e non economico”.
Diversi mesi dopo, la situazione resta ancora simile – quanto meno in tutte quelle nazioni dove il contagio non è ancora sotto controllo e anzi assistiamo ora a una nuova ondata.