Come qualcuno probabilmente si ricorderà, poco più di dieci anni fa, precisamente nel 2009, l’ex ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa coniò un termine che suscitò parecchio scalpore, indicando con “bamboccioni” quella parte di giovani secondo lui troppo pigra e legata alla famiglia di origine, incapace di uscire dalla casa dei genitori.
Ad oggi, circa dieci anni dopo, è cambiato lo scenario dei giovani adulti?
Incuriositi da alcuni dati che abbiamo trovato in rete, noi di Infodata abbiamo provato a fare un quadro della situazione attuale sia per quanto riguarda l’Europa, e di conseguenza l’Italia, sia sul fronte americano che, molto spesso, viene usato come termine di paragone per diversi aspetti socio-demografici.
In entrambi gli scenari, oltre al dato “attuale” abbiamo anche dati storici, ma per il caso a stelle e strisce parliamo di un lasso temporale di oltre un secolo con granularità decennale, mentre per l’Europa, volendo fornire il dettaglio di ogni singolo paese, abbiamo un campione decisamente meno profondo ma più recente e puntuale compreso tra il 2014 ed il 2018 che, chiaramente, avrà oscillazioni nettamente contenute.
Provenienti da due fonti diverse, i target dei giovani adulti, benchè paragonabili, hanno due range lievemente diversi, mostrando la fascia 18-29 anni per gli statunitensi (dati pubblicati da Pew Research Center) e 20-29 per quanto riguarda gli europei (dato proveniente da Eurostat).
Nell’infografica che segue, la serie storica relativa alla percentuale di giovani che vive ancora con i genitori negli Stati Uniti è stata riportata in bianco evidenziando in blu e rosso rispettivamente il valore minimo e quello massimo.
A seguire poi, mantenendo un gradiente che spazia dal blu (per i valori percentuali minori) al rosso (per i valori più alti), è riportato il dettaglio dei paesi europei articolato sui cinque anni in esame.
Il caso americano
Sulla base dei numeri degli Stati Uniti, il 52% di giovani ancora in casa con i genitori relativo al 2020 è il valore più alto nei 120 anni censiti ed è anche l’unico superiore al 50%, risultando più alto anche del 48% risalente agli anni ’40.
Quello che sembrava essere un trend in diminuzione arrivato a toccare il minimo storico negli anni ’60 con appena il 29%, si è poi invece tramutato in una risalita tanto morbida nelle prime decadi (32% negli anni ’80) quanto repentina nell’ultimo ventennio passando dal 38% del 2000 al 44% del 2010 prima di arrivare allo scenario attuale.
Tra le cause che potrebbero giustificare un incremento così significativo nell’ultimo ventennio, ce ne sono due che dovrebbero essere particolarmente rilevanti, ognuna impattando una specifica decade.
La crisi finanziaria del 2008 ha chiaramente ridotto le possibilità economiche su scala mondiale, diminuendo così di anche l’indipendenza di quella fascia di persone che si apprestava a compiere la transizione verso l’indipendenza finanziaria dalla propria famiglia.
Per motivi completamente diversi, e tenendo conto che il dato del 2020 è – ovviamente – al momento rappresentante di un solo anno e non di una decade, la pandemia causata dal Covid-19 avrà sicuramente avuto un impatto notevole anche sulle scelte abitative dei giovani adulti, in particolar modo per gli studenti universitari che, impossibilitati alla permanenza nei college per misure precauzionali, saranno stati costretti a rientrare in famiglia.
Cosa succede in Europa?
Complessivamente, la situazione del nostro continente presenta uno scenario in cui la percentuale dei giovani che abitano ancora con i genitori è decisamente più alta rispetto ai (quasi) coetanei americani di circa quindici punti percentuali, per un valore nei dintorni del 67%.
Senza particolari sbalzi nell’arco dei cinque anni esaminati, il fenomeno che colpisce maggiormente è senza ombra di dubbio la distribuzione geografica dei valori percentuali che vedono nei paesi nordici i dati più bassi, sinonimo di una maggiore indipendenza per questo range di età.
Stando ai dati pubblicati da Eurostat, la Danimarca è il paese che compare al primo posto con un valore medio pari al 35,5%, poco inferiore a quello della Finlandia (36,7%) e della Norvegia (37,9%), uniche nazioni sotto la soglia del 40%.
Completano la top 5 europea altri due paesi nordici come Svezia (41,3%) ed Islanda (52,8%), per poi proseguire con altre realtà (Regno Unito, Olanda e Francia) sempre inferiori alla soglia del 60% ma comunque superiori al 52% degli Stati Uniti.
E l’Italia?
Beh, per trovare il nostro paese, bisogna scorrere a fondo l’elenco arrivando fino alla quart’ultima posizione (in concomitanza con la Macedonia) a fronte di un valore medio pari all’83,6% che risulta inferiore solo ai dati di Slovacchia (84,3%) e Croazia (86,3%).