L’epidemia di COVID-19 porterà con tutta probabilità a un crollo della speranza di vita in Italia. Lo mostrano le prime stime realizzate dal professor Stefano Mazzuco, demografo all’università di Padova, che ha provato a calcolare quanto è diminuita l’aspettativa di vita delle persone dopo le tante morti provocate dal virus.
I suoi calcoli si sono concentrati in particolare sugli uomini, che da un punto di vista sanitario hanno subito le conseguenze peggiori, e consentono di capire la gravità di questa epidemia. In alcune delle province più colpite dalla prima ondata, fra cui Cremona, Bergamo, Lodi o Piacenza, la speranza di vita per gli uomini è diminuita di quattro o cinque anni, passando da circa 81 anni ad anche meno di 76 proprio nel caso di Cremona.
Come ci spiega Mazzuco, si tratta di previsioni perché ovviamente “per avere il dato reale della speranza di vita al 2020 dovremmo avere la mortalità fino al 31 dicembre 2020”, e dunque “è stato necessario fare delle supposizioni sul livello di mortalità per il periodo non ancora osservato. Il mio approccio è stato quello di fare un’assunzione conservativa, assegnando al periodo non ancora osservato il livello di mortalità del 2019”.
Un elemento fondamentale da ricordare è che queste previsioni non considerano ancora la mortalità provocata dalla seconda ondata cominciata in autunno, perché i dati dei decessi per questo periodo non sono ancora disponibili. È quindi certo che le stime presentate dal demografo dovranno essere riviste al ribasso – nel senso di un ulteriore peggioramento – una volta che potranno essere considerate anche le morti avvenute nelle ultime settimane e che si stanno verificando ancora oggi in gran numero. Il crollo della speranza di vita sarà maggiore in molte aree, nel 2020, rispettiamo a quanto possiamo stimare fino a questo momento e non più soltanto limitato alle province del nord più colpite dalla prima ondata.
Un calo della speranza di vita di quattro o cinque anni in un lasso di tempo tanto breve è qualcosa praticamente senza precedenti nella storia recente del nostro paese. L’unico altro confronto possibile, per quanto ai tempi ben più grave, è la guerra. Come ricorda un saggio storico di Vincenzo Atella e Silvia Francisci (contenuto nel libro “Measuring Wellbeing: A History of Italian Living Standards” dello storico Giovanni Vecchi) durante la prima guerra mondiale la speranza di vita alla nascita era di circa 50 anni sia per gli uomini che per le donne, che praticamente si dimezzò durante il conflitto per arrivare alla fine a circa 25 anni. Durante la seconda guerra mondiale il calo fu di circa 10 anni, con la speranza di vita che passò da 55 a meno di 45 anni.
“Nel 2015”, ricorda Mazzuco, “l’influenza mal contrastata dai vaccini e un’ondata di calore particolarmente intensa hanno portato ad un calo della speranza di vita di circa 0,3 anni. Ma nelle zone più colpite (Bergamo, Cremona, Lodi, Piacenza) il calo della speranza di vita attorno ai 4-5 anni è paragonabile con quanto avvenuto durante le guerre. E dobbiamo ancora conteggiare gli effetti della seconda ondata”.
Da tempi dell’ultima guerra nessun evento ha più avuto lo stesso effetto anche su scala locale, e gli italiani e le italiane hanno goduto di un aumento della propria aspettativa di vita durato decenni, costante, regolare, che li aveva portati a essere uno dei popoli dalla longevità maggiore al mondo. Il calo di 4-5 anni stimato dal professor Mazzuco si riferisce soltanto agli uomini delle province più colpite dalla prima ondata, ma per fortuna in altre aree la circolazione del virus è stata interrotta sul nascere dal lockdown nazionale di primavera. Per questa ragione a livello nazionale il calo della speranza di vita è meno evidente pur arrivando in media, sempre secondo le stime di Mazzuco, a 1,1 anni.
D’altra parte la seconda ondata ha colpito profondamente anche molte aree regioni che avevano superato indenni la prima, e la mortalità in diverse città del centro-sud ha superato di molto i valori fatti registrare negli ultimi anni. Come si vede dai rapporti del sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera, un’iniziativa guidata dal ministero della salute, dalla seconda settimana di ottobre i decessi si sono impennati – seguendo di qualche tempo la diffusione del virus – fino a toccare i circa 200 al giorno a metà novembre nelle città censite del centro-nord, quando negli anni scorsi erano stati grosso modo 120 al giorno. Nelle località del centro-sud comprese nel monitoraggio in quel periodo morivano di solito circa 100 persone al giorno, che però nel 2020 sono arrivate anche a 150.
Non sappiamo ancora esattamente in che misura, ma questi ultimi dati mostrano che includendo anche la seconda ondata il crollo della speranza di vita in Italia sarà senza dubbio ben più pronunciato di quanto pensavamo fino a questo momento.
“Siamo di fronte ad una crisi di mortalità che non ha eguali dal secondo dopoguerra”, conclude Mazzuco.
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