Nel trimestre marzo-maggio sono morte quasi 210.000 persone contro le 161.000 mediamente registrate negli anni precedenti. Quindi sì: dai dati di mortalità Istat relativi all’ultimo quinquennio e ai primi otto mesi del 2020 si evidenzia in che misura i decessi per Covid hanno inciso sulla mortalità generale.
Di questi 49.000 decessi in più, i morti per Covid dichiarati dalla Protezione Civile ne giustificano circa due terzi, differenza che assume una maggiore portata se si pensa che il 2020 è iniziato con un andamento dei decessi sensibilmente più basso degli anni precedenti.
Di cosa si è morti?
Dagli ultimi dati di mortalità per causa disponibili si rileva che nel corso del triennio 2015-2017 si sono verificate, mediamente, quasi 70.000 morti l’anno per malattie ischemiche del cuore, circa 60.000 per malattie cerebrovascolari e poco meno per tumori dell’apparato digerente. Al 2 dicembre i dati diffusi dalla Protezione Civile contano 57.045 decessi per Covid e ciò significa che anche nell’ipotesi che l’andamento dei decessi sia in fase discendente e che la velocità della decrescita sia speculare a quella della crescita fino a oggi, il numero di morti a fine anno si attesterebbe ad almeno 67.000. A questi andrebbero aggiunti i 20.000 casi di supermortalità stimati dal Centro Studi Nebo per la primavera 2020 (www.programmazionesanitaria.it), che porterebbero i decessi legati a Covid a quota 87.000.
Il confronto fra gli 87.000 decessi 2020 legati a Covid e le statistiche di periodi precedenti non implica alcuna ipotesi sulle cause di morte dell’anno in corso, ma è finalizzata a dare un ordine di grandezza al fenomeno che in ogni caso ha radicalmente modificato l’assetto a oggi noto della mortalità per causa.
Va ulteriormente segnalato che l’epidemia di SARS-CoV-2 ha avuto un impatto per età senz’altro sbilanciato verso le età più anziane, come del resto le principali patologie sopra menzionate ed evidenziate nel grafico; tuttavia, la numerosità in età più giovanili ne fa una componente influente anche per le future analisi sulla mortalità evitabile, generalmente studiata nella popolazione fino ai 74 anni (www.mortalitaevitabile.it).
I dati che mancano
Parte dei casi di supermortalità potrebbero non essere legati al Covid come causa principale, ma il virus potrebbe avere responsabilità indiretta sulla salute della popolazione per aver indotto cambiamenti negli stili di vita e modifiche al ricorso all’assistenza sanitaria e quindi condizionato significativamente alcuni dei principali determinanti di salute.
Di quest’ultimo fattore, soprattutto riguardo alla rete di servizi, non sono tuttavia ad oggi disponibili dati adeguati ad analisi mirate a misurare offerta e utilizzo, data la carenza se non l’assenza di informazioni sulle risorse umane, tecnologiche, strumentali della sanità pubblica e sul consumo di prestazioni medico-specialistiche, ospedaliere e sanitarie in genere.
Lo scarno aggiornamento dei flussi informativi circa l’attività del Servizio Sanitario Nazionale (personale, istituti di ricovero, medicina di base, eccetera) è infatti fermo al 2018 o ad anni precedenti, come verificabile nella sezione Dati del sito del Ministero della Salute, con qualche limitata eccezione derivata dall’attuale stato di emergenza, come nel caso dei due dati (peraltro aggregati per Regione) circa posti letto di terapia intensiva e totale posti letto di area non critica (malattie infettive, medicina generale e pneumologia).
Se sono intuibili le difficoltà nel diffondere informazioni sugli aspetti medico-clinici (schede di dimissione ospedaliera, schede di morte e così via) non è altrettanto comprensibile perché la diffusione di dati di struttura e attività del SSN sia realizzata secondo modalità sostanzialmente inutili per le finalità di studio e ricerca di quanti vogliono contribuire alla conoscenza e al monitoraggio della sanità italiana.
Autrice: Natalia Buzzi (responsabile del Centro Nebo Ricerche)
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