I due flussi, quello dei “già pensionati” e quello dei “nuovi pensionati” dell’anno, si compensano, al calare del primo corrisponde un aumento del secondo, mantenendo più o meno costante il valore d’insieme che, come detto, è attorno al milione negli ultimi sei anni.
Dall’Osservatorio si possono estrarre facilmente dati più di dettaglio sui redditi, le fasce d’età, le settimane lavorate. Uno strumento interessante perché accende un faro su una dimensione del nostro mercato del lavoro che dal 2009, quando è stato abolito il divieto di cumulo tra pensione e reddito, ha registrato una dinamiche crescente.
I pensionati lavoratori sono presenti in tutte le categorie, persino tra i dipendenti privati e pubblici, rispettivamente 127mila tra i “già pensionati” e 215mila tra i “nuovi pensionati” dell’anno scorso, per un totale di 342mila lavoratori. Mentre tornando al mondo del lavoro agricolo i pensionati ancora in attività erano lo scorso anno 142.299, tra autonomi e operai, una dato significativo se si considera che gli occupati in questo comparto sono poco più di un milione, 350mila dei quali stranieri. E se si ricorda che la scorsa primavera mancavano all’appello tra 200 e 250mila braccianti per i raccolti stagionali, fermati nei loro paesi dall’emergenza sanitaria.
L’Osservatorio tornerà molto utile quando si faranno i bilanci di “Quota 100”, alla fine del 2021, ultimo anno della sperimentazione voluta dal governo Conte-1 per dare una pensione con i requisiti minimi di 62 anni e 38 di contributi. Il disincentivo maggiore per questa agevolazione è proprio il divieto di cumulo con eventuali redditi da lavoro, un paletto insuperabile fino al compimento dei 67 anni. Com’è noto i pensionamenti con “Quota 100” sono stati finora circa un terzo delle attese (circa 155mila l’anno scorso) e anche le domande presentate dal personale della scuola entro lo scorso 7 dicembre, ultimo indicatore utile, conferma flussi restano bassi. Lo spiazzamento da Covid-19 avrà avuto sicuramente un peso ma dietro i numeri dei pensionati-lavoratori ci sono dinamiche ben più profonde, che incrociano con l’impoverimento di quanti hanno dovuto fare i conti con carriere lavorative discontinue (e dunque hanno una pensione piuttosto povera) e con il più generale invecchiamento della popolazione. Il rischio longevità, sempre trascurato negli anni giovanili, ha sicuramente un peso nelle scelte (o le necessità) di quanti restano occupati per qualche anno in più.
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