Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
cronaca

Le mappe sono importanti. Da John Snow al tracciamento del Covid-19

Articolo pubblicato il 5 settembre 2020

 

Il primo a rendersene conto fu John Snow. Non il personaggio di Game of Thrones, che del resto non sapeva niente, ma un medico britannico vissuto nella prima metà dell’Ottocento. Quando nel 1854 un’epidemia di colera scoppiò nel quartiere londinese di Soho, segnò su una mappa gli indirizzi di tutti i pazienti. E si rese conto che vivevano tutti intorno allo stesso pozzo. Ipotizzando che l’acqua fosse il mezzo di trasmissione del batterio del colera, lo fece chiudere, fermando l’epidemia. Fu la prima dimostrazione dell’efficacia delle mappe per comprendere l’evoluzione di un’epidemia.

 

E del resto uno dei primi strumenti utilizzati per raccontare la diffusione del Sars-CoV-2 è stata proprio una mappa, quella realizzata dalla John Hopkins University. Una semplice mappa a punti, dimensionati sul numero delle persone che hanno contratto il virus, che tra febbraio e marzo è stata uno degli strumenti più utilizzati dalle persone comuni per capire come si stesse muovendo il virus. Una soluzione così efficace che anche la Protezione civile l’ha riprodotta per mostrare l’evoluzione del contagio in Italia.

Ovviamente, più dettagliati sono i dati a disposizione, più precisa è l’informazione che una mappa riesce a fornire. Conoscere il comune di residenza di una persona positiva al nuovo coronavirus, se non addirittura l’indirizzo, permette di individuare eventuali focolai. Dati, questi, che per ragioni di privacy restano a disposizione delle sole autorità sanitarie. Se a informazioni così dettagliate si aggiunge poi l’elemento temporale, banalmente la data di effettuazione del tampone risultato positivo, una mappa consente di vedere come si sta muovendo la pandemia.

Tutte informazioni che le autorità sanitarie possono utilizzare per modulare le iniziative di contrasto alla diffusione del nuovo coronavirus. Perché un conto è conoscere il numero di positivi in Lombardia, un conto è sapere quanti sono in provincia di Bergamo, un altro conto ancora conoscere il numero di positivi nella città capoluogo. Se poi si riesce a capire che in un determinato quartiere gli ultimi giorni hanno visto crescere i casi, si possono intensificare i controlli. E magari, se ritenuto necessario, applicare un lockdown circoscritto solo a quest’area.

Al netto di questo, il valore informativo delle mappe è apparso chiaro sin dal primo giorno. Tanto che sono state realizzate per raccontare l’andamento della pandemia sia da attivisti, come Francesco Paolicelli, che da giornalisti, come Isaia Invernizzi dell’Eco di Bergamo, che ha raccontato il coronavirus dalla zona più colpita d’Italia. Anche Il Sole24Ore che è l’editore di questo blog lo ha fatto, con la mappa realizzata dal Lab24 che ogni giorno mostra l’andamento dei contagi su base provinciale.

Come ha ricordato Robert Muggah, fondatore di SecDev Group e dell’Igarapé Institute, in un articolo comparso sul sito del World Economic Forum, per essere significative le mappe dell’epidemia devono potersi basare su dati affidabili. Circostanza che ha rappresentato e tuttora rappresenta uno dei limiti delle informazioni fornite ad esempio dalla Protezione civile in Italia. Dato che il numero di positivi registrati dipende dal numero di tamponi effettuati e che esistono soggetti positivi del tutto asintomatici e che per questo non vengono tamponati, è chiaro che i dati non consentono di intercettare l’intera ondata epidemica.

 

Per questo motivo alla fine della primavera ci si è affidati ai dati sull’eccesso di mortalità calcolato a partire da dati resi disponibili dall’Istat e dall’Istituto superiore di sanità. L’idea di fondo era quella che un aumento del numero di decessi rispetto alla media in un determinato comune avrebbe rappresentato la spia di un’incidenza dell’epidemia più alta che in comuni in cui il numero dei decessi è rimasto allineato al valore medio. E lo stesso si è fatto quando questi stessi enti hanno diffuso i risultati dell’indagine di sieroprevalenza svolta su oltre 64mila persone in tutto il Paese. Due modi per stimare quanto abbia colpito il Sars-CoV-2 andando al di là dei soli dati relativi alle persone positive al tampone.