Articolo del 1 novembre 2020
Durante i mesi di lockdown abbiamo acquistato più ansiolitici e antidepressivi, in particolare più benzodiazepine, più antiepiretici (come il paraceramolo), più acido ascorbico (vitamina C) anche grazie al diffondersi di informazioni scientifiche non validate, più liolipemizzanti per ridurre il colesterolo, ma meno farmaci contro la disfunzione erettile (inibitori della fosfodiesterasi). Riguardo a questi ultimi non si sa se le vendite sono calate perché siamo stati meglio o perché siamo stati peggio.
Lo riporta un rapporto di AIFA uscito il 29 luglio scorso dal titolo Rapporto sull’uso dei farmaci durante l’epidemia COVID‐19 Anno 2020, che analizza il numero di confezioni di medicinali per 10.000 abitanti per giorno, erogati tramite le farmacie territoriali pubbliche e private, sia in regime di farmaceutica convenzionata sia attraverso la distribuzione per conto, a carico del SSN.
Iniziamo con la buona notizia: fra marzo e maggio, nonostante la chiusura, gli italiani non hanno dovuto rinunciare alle cure farmacologiche che già seguivano. A livello nazionale nel periodo pre e post COVID-19, non si evidenziano infatti differenze significative nei consumi per tutte le categorie di farmaci per malattie croniche esaminate. Segno che complessivamente le strategie poste in atto per favorire la continuità assistenziale dei malati cronici e fragili hanno retto.
In generale abbiamo comprato più farmaci del solito, in particolare come si diceva, benzodiazepine, vitamine, paracetamolo e idrossiclorochina, un antireumatico utilizzato contro malaria, artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico, che ha visto un’impennata importante negli ospedali nella fase acuta della pandemia, come abbiamo raccontato nella scorsa puntata.
Sono queste le categorie o i principi attivi per cui le farmacie pubbliche o private si sono approvvigionate maggiormente in modo significativo, in vista di erogazioni dirette ai pazienti. Da questa analisi emerge che a marzo gli acquisti da parte delle farmacie sono stati ben superiori rispetto ai mesi precedenti e ad aprile 2020 l’incremento in termini di confezioni comprate è stato di più del doppio rispetto alla media dei tre mesi pre COVID-19. Dal momento che anche a maggio 2020 l’aumento si è confermato, ci fa supporre che gli approvvigionamenti siano stati realmente erogati ai cittadini fra marzo e aprile.
È bene precisare che le categorie elencate comprendono farmaci di classe C (cioè a carico del cittadino ma con obbligo di ricetta) a cui si aggiunge la idrossiclorochina che, pur essendo un farmaco in classe A, può essere erogata direttamente al paziente a proprio carico.
Gli Antidepressivi
Il consumo di antipsicotici e antidepressivi merita un discorso a parte. Si osserva, come è prevedibile, un incremento importante dei consumi di antipsicotici in particolar modo nel mese di marzo 2020. Per gli antidepressivi, dopo un relativo aumento nel mese di marzo, vediamo una riduzione dei consumi non significativa. Sono dati che aprono delle domande circa l’impatto della pandemia e della chiusura sulla psiche degli italiani, ma per fare delle analisi solide servirà tempo. “Solo una valutazione a lungo termine e un’analisi per singole sottocategorie – si legge nel rapporto – potrà fornire eventuali ulteriori informazioni.”
Il paracetamolo
Conosciuto ai più con il suo nome commerciale Tachipirina, la vendita di paracetamolo (classe degli antiepiretici) ha visto una crescita importante nei mesi primaverili. In tutte le regioni italiane il valore più elevato di acquisto di paracetamolo si rileva nel mese di marzo 2020 in corrispondenza del picco epidemico e dell’inizio del periodo di lockdown.
La vitamina C e la vitamina D
A marzo 2020 si registra un picco delle vendite di prodotti a base di Vitamina C (acido ascorbico), dovuto al diffondersi di molte notizie nel corso del periodo pandemico che attribuivano all’acido ascorbico assunto ad alte dosi proprietà curative e preventive contro il COVID-19. Questo perché in Cina si stavano attuando in quel periodo alcuni studi sulla validità della vitamina C come fattore protettivo. Al momento tuttavia, di evidenze non ce ne sono. Nel corso della pandemia sono state molte le notizie che hanno riguardato anche i presunti benefici della vitamina D nella terapia per pazienti positivi al COVID, in combinazione con altri farmaci, per ridurre i rischi di infezioni acute delle vie respiratorie e per il trattamento di due sintomi tipici del COVID-19: la perdita dell’olfatto e del gusto. Gli esperti AIFA ribadiscono che “sia nel caso della vitamina C che della vitamina D, il Ministero della Salute ha specificato tramite il proprio sito che non ci sono evidenze a supporto di un loro impiego per il trattamento del COVID-19.” Proprio in questi giorni un ennesimo studio, condotto dall’Università di Pavia e pubblicato su “Frontiers in Immunology”, conferma che “sebbene sia stato registrato un aumento importante delle vendite di vitamina C immediatamente dopo la dichiarazione dello stato di emergenza globale, al momento non ci sono prove che l’integrazione di vitamina C possa proteggere le persone dal virus SARS-nCoV2”.