Articolo pubblicato il 5 settembre 2020
“La matematica è una disciplina che favorisce la diffusione della democrazia” scrive bene Chiara Valerio ne “La matematica è politica”, prezioso libro di poco più di cento pagine appena uscito per Einaudi. “[Essa] non ammette principio di autorità giacché nessuno possiede la verità da solo, le verità sono asserzioni verificabili da chiunque, o se non da chiunque (alcune volte è difficile) almeno da un certo numero di persone. Inoltre, la matematica è un linguaggio, una grammatica. Per discutere di matematica bisogna accettarne le regole.”
Chi segue il nostro lavoro qui su Infodata sa che l’atteggiamento di fondo con cui proviamo ad accostarci alle notizie è quello di farci aiutare anche dalla matematica nel decifrare i fenomeni sociali. Voglio essere onesta: mai come in questi mesi di pandemia mi sono resa conto (qui parlo per me soltanto) di quanto sia difficilissimo e frustrante provarci. Il motivo – mi sono risposta – è un fraintendimento di fondo ben descritto in questo libro: la matematica non vuole eliminare l’incertezza, la vuole spiegare, pur non contemplando l’errore. Per questo pare complessa, e richiede esercizio. Come la democrazia.
Per questo per chi come me vede la matematica come uno degli strumenti fondamentali e più equi dell’esercizio della democrazia, risulta doloroso sentirsi accusare spesso di autoritarismo, o di non amare la libertà di pensiero, o – peggio – di non voler bene ai nostri lettori, diffondendo allarmismo. Il mio maggior dolore è quando mi si dice che mi faccio scudo con la matematica (e quindi con la scienza) pensando di aver vinto il dubbio. È capitato per esempio quando abbiamo raccontato perché il Contact tracing è un fattore chiave e come monitorarlo, o come quantificare il concetto di “rischio calcolato”, o come leggere i dati relativi all’andamento della pandemia negli altri paesi Europei.
È l’opposto: la matematica (e la scienza) non avanzano per certezze, ma per ipotesi: è l’unico metodo sviluppato dall’uomo a essere falsificabile. “Le verità della scienza evolvono. E pensare agli scienziati come ai sacerdoti della soluzione o della guarigione è un modo di delegare la responsabilità politica. Oltre che di istituzionalizzare come scienza qualcosa che è il contrario della scienza: la certezza fideistica.
Chi mi avanza queste critiche ha i suoi motivi, intendiamoci. Ci sono almeno due modi di interpretare il famoso monito che campeggiava all’entrata dell’Accademia di Platone: “Non entri chi non è geometra”. Lo si può intendere come una barriera elitaria e classista: se non hai almeno questo o quel requisito, taci; e sono parecchie le persone fra cui scienziati e giornalisti che prendono queste parti. Purtroppo poi nel sistema di istruzione italiano la matematica è vista come qualcosa di alternativo alla “cultura”, e finisce che ancora a trent’anni ti senti chiedere se preferisci le righe o i quadretti, come in un test del Cioè.
In realtà quello platonico è un incoraggiamento, e ho provato affetto nel leggere nel libro di Valerio questo chiaro intento. La matematica è per tutti, e soprattutto non è vero che bisogna essere “portati”. “Non è vero infatti che per studiare matematica «bisogna essere portati». Per studiare matematica, come per il resto e più del resto, bisogna solo studiare. Mi rendo conto che studiare, nella dittatura dell’immediato, che viviamo, è un verbo scomodo, pieno di conseguenze e al quale è stata sottratta la sinonimia, naturale, con progettare o immaginare.”
Finalmente! Personalmente ci ho messo vent’anni a capirlo, dopo essermi laureata in Logica matematica nonostante non fossi mai stata particolarmente “portata”.
Ecco perché assimilare un po’ di linguaggio matematico, volerlo fare, è esercitare la nostra democrazia. E oso dire – se scrivessi a mano userei una calligrafia piccola piccola – ci rende anche più liberi, di una libertà corale. “Studiare matematica aiuta a essere cittadini migliori e a chiarire come la democrazia, con tutti i difetti, sia il miglior sistema di governo possibile e sia pure una forma, ribadisco, di rivoluzione.”
Chiudo esortando a non comprarvi questo libro di Chiara Valerio. Se lo cercate siete già persuasi di quanto sostenuto dall’autrice. Il vecchio bias di conferma.
Questo è un libro da regalare.