L’atipicità del 2020 ha avuto impatti evidenti in ogni aspetto della vita quotidiana degli individui così come ha influenzato le fortune delle aziende, in modi e misure diverse, anche in funzione della propria natura.
La situazione di pandemia globale che ha reso necessario un regime di lockdown diffuso ha inevitabilmente caratterizzato l’economia mondiale, andando a creare una situazione davvero senza precedenti e che per certi aspetti potrebbe aver alterato alcune delle dinamiche tra le “big company” del pianeta.
A tal proposito, come abbiamo fatto anche nel passato, noi di Infodata ci siamo serviti dei numeri pubblicati da Interbrand per dare uno sguardo a quali siano i brand di maggior valore nel panorama globale, focalizzandoci questa volta anche sul confronto con l’anno precedente per valutare quindi gli ipotetici effetti del 2020 sulla salute delle top 100 realtà censite nell’analisi.
Secondo la metodologia utilizzata, la forza dei brand (espressa sempre in miliardi di dollari) è determinata da tre macro-caratteristiche, suddivise poi ulteriormente nei rispettivi fattori chiave: “leadership”, “engagement”, “relevance”.
Nella prima vengono presi in esame tutti gli elementi interni all’azienda come “direction”, “alignement”, “empathy” e “agility”, nella seconda invece sono considerati quelli esterni come “distinctiveness”, “coherence” e “partecipation”, arrivando infine all’ultima categoria, quella della rilevanza legata ai clienti, in cui confluiscono “presence”, “trust” e “affinity”.
Nei grafici che seguono sono stati rappresentati i top 100 brand ordinati per valore in miliardi di dollari a cui è stato attribuito un colore basato su un gradiente semaforico che spazia dal rosso al verde sulla base della variazione percentuale rispetto all’anno precedente.
Con lo stesso criterio cromatico i brand sono stati raggruppati in funzione del settore (industry”) di appartenenza, calcolandone poi il valore medio di scostamento rispetto al 2019.
Cliccando sui valori delle industry permetterà di filtrare il grafico per brand facendo un focus solamente sulle realtà appartenenti allo specifico settore selezionato.
A differenza dell’ultima volta in cui ci eravamo occupati di questa indagine, nel 2020 è Apple che guida la graduatoria a fronte di 323 miliardi di dollari, per un valore quasi paragonabile alla somma dei brand che compongono la parte restante del podio, vale a dire Amazon e Microsoft che si assestano rispettivamente a 201 e 166 miliardi.
Dopo il terzetto di testa, in quarta posizione c’è un’altra azienda americana – Google – che con 165 miliardi chiude la contenuta lista “over 100 miliardi”, prima di trovare Samsung (62 miliardi), Coca-Cola (57), Toyota (52), Mercedes (49), McDonald’s (43) e Disney (41) che completano una top 10 in cui ben cinque realtà appartengono al settore tecnologia, e complessivamente sei sono americane.
Ma al di là dei valori assoluti, come anticipato, il 2020 per alcuni è stato un anno economicamente di spicco nonostante la pandemia e, concentrandoci sulla variazione rispetto al 2019, si potrebbe dire che ci sono diverse aziende che hanno compiuto un notevole balzo in avanti.
Tra queste, svetta su tutte Amazon grazie ad un rotondo +60% di valore rispetto al 2019 e che sicuramente starà traendo benefici dagli oltre ventotto miliardi di dollari investiti nel campo della ricerca e sviluppo, consolidando così la propria “agility” al servizio dell’offerta proposta ai propri clienti in tutto il mondo.
Subito dietro la creatura di Jeff Bezos, Microsoft segue a ruota forte di un +53% che riflette la trasformazione cominciata con l’arrivo del nuovo amministratore delegato Satya Nadella e che, secondo Interbrand, si concretizza con una crescente connessione tra business e le esigenze dei propri consumatori.
Il terzo posto della classifica dei “big risers” spetta a Spotify (+52%), colosso della musica digitale che, analogamente a quanto propone Netflix (quarta con +41%) per la fruizione di contenuti video, fa dell’affinità con il proprio pubblico uno dei suoi punti di forza per rafforzare il valore del brand.
Tra gli altri appartenenti alla top 10 delle aziende più “cresciute” in termini di valore figurano anche Adobe (+41%), PayPal (+38%), Apple (38%), Salesforce (+34%), Nintendo (+31%) e Visa (+15%).
Oltre ai top performer, per valore assoluto o crescita percentuale, il 2020 ha visto anche tre nuove entrate, tutte in ambito social, e due ricomparse nella top 100 provenienti da due settori diametralmente opposti.
Per quando riguarda i tre social media, stiamo parlando di due giganti come Instagram (posizione 19) e YouTube (30), a cui si accoda Zoom con la sua centesima posizione e che durante il 2020 ha visto crescere la propria capitalizzazione di mercato di quasi il 390% al pari di un’impennata del fatturato che si assesta oltre il 270%.
I due ritorni invece riguardano Tesla – che rientra in quarantesima posizione grazie ad un aumento del 769% della “market capitalization” rispetto al 2019 – e Johnnie Walker che nonostante qualche battuta di arresto sul fronte per cui invece l’azienda di Elon Musk ha brillato, resta comunque un brand di rilievo nel proprio settore.
C’è poi anche chi non se l’è passata benissimo nell’ultimo anno come ad esempio General Eletric che, a dispetto della ventinovesima posizione in classifica, ha visto una riduzione del proprio valore pari al 30%, assicurandosi il poco ambito primato, staccando nettamente le altre realtà che hanno sotto-performato rispetto al 2019: Mastercard (-17%), Gillette (-16%), Hewlett Packard Enterprise (-16%) e Canon (-15%).
Questione di settori e comunque poca Italia
Complessivamente, volendo cercare di andare oltre le singole aziende e spostando il focus dell’analisi più sull’ambito di mercato, facendo una media dei cento brand censiti, risulta che la tecnologia è uscita consolidata dal 2020 come dimostrerebbe il +11,6% relativo alla crescita dal 2019, più del doppio rispetto al settore della logistica (+5,3%) e del retail (+3%).
Molto male per contro i macchinari industriali – rappresentati in questa analisi da General Eletric, Caterpillar e John Deere, che chiudono in ribasso del 17% – ed anche il settore automobilistico che, a differenza dell’intrattenimento in cui figura solamente Disney ed è quindi più arduo “fare di tutta l’erba un fascio”, rappresenta addirittura quindici aziende e chiude con una flessione media pari a -6,3%.
Per trovare un po’ di Italia bisogna arrivare alla trentaduesima posizione di Gucci, caratterizzata da un -2% rispetto al 2019, scendendo poi all’ottantottesimo posto di Ferrari (-1%) fino ad arrivare alla novantanovesima piazza di Prada, anch’essa parziale “vittima” del 2019 a fronte di un calo del valore del brand pari al 6%.