Da qui al 2100 l’ipotesi principale dell’Eurostat è di una modesta crescita demografica, che dovrebbe raggiungere un picco a breve termine, proprio in questo decennio, per poi cominciare a calare circa dal 2030 in avanti. A fine secolo la popolazione potrebbe arrivare a toccare le 416 milioni di persone, giù da un massimo di 450 milioni intorno appunto al 2030. Da oggi al 2100 il calo complessivo dovrebbe aggirarsi sui 30 milioni di abitanti.
In undici dei 27 paesi membri a quella data la popolazione dovrebbe essere maggiore di quanto lo è ora. In valori assoluti l’Italia è la seconda nazione dopo la Polonia che si troverebbe a perdere più abitanti, seguita dalla Romania. Parliamo, rispettivamente, di 8,9, 10,3 e 6,6 milioni di persone in meno. D’altra parte Francia e soprattutto Svezia vedrebbero aumentare i loro abitanti di 2,6 e 3,4 milioni: un risultato notevole in particolare per quest’ultima, più piccola, che implica una crescita di oltre il 30%.
In Germania le proiezioni suggeriscono un saldo sarà tutto sommato neutro, mentre si parla di 1,1 milioni di persone in meno in Spagna. Anche in Irlanda si suggerisce un notevole aumento della popolazione, e in effetti anche persino leggermente più che in Svezia.
L’ordine delle nazioni più popolose dell’unione – Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia – resterà comunque invariato. In termini relativi, cioè guardando al cambiamento rispetto al punto di partenza e non in valori assoluti, i principali cali demografici dovrebbero esserci in diverse nazioni dell’est come Lettonia, Lituania, Romania, Bulgaria, Polonia.
Per arrivare a questi risultati sono state fatte alcune assunzioni di base, e cioè che le tendenze demografiche attuali si conservino grosso modo simili anche in futuro. Questo vuol dire innanzi tutto un aumento generale nell’età mediana della popolazione, come conseguenza della crescita della speranza di vita. Lungo i prossimi otto decenni, sottolinea Eurostat, l’età mediana della popolazione europea aumenterà, probabilmente, dai 43,7 attuali a 48,8 anni. Per età mediana si intende l’età della persona che si trova esattamente in mezzo, in un certo momento, ordinando tutti gli abitanti dell’UE dal più giovane al più anziano.
Il fattore principale che sosterrà la popolazione europea, suggeriscono i demografi, sarà l’immigrazione. D’altra parte se la tendenza attuale prosegue il saldo naturale – ovvero la differenza fra nascite e morti – sposterà l’equilibrio nell’altra direzione.
Questi movimenti portano con sé un grande rimescolando del peso relativo delle varie età. Per esempio si proietta che diminuirà la proporzione di bambini, sia come numero complessivo che come percentuale dell’intera popolazione. Se erano il 15,2% del totale nel 2019, ovvero 67,8 milioni, al 2100 caleranno a 58 milioni cioè il 13,9%.
A diminuire dovrebbe essere anche il numero di persone in età da lavoro, etichetta che in questo genere di statistiche si applica per convenzione ai 15-64enni. Certamente questa fascia di età rappresenterà la spina dorsale dell’unione anche nel futuro prevedibile, ma il loro peso relativo diventerà senz’altro più leggero, con una riduzione di 60,6 milioni di persone da qui al 2100.
Calando i gruppi più giovani, non potranno che aumentare gli anziani. Gli over 65 sono oggi uno ogni cinque abitanti totali, ma a fine secolo potrebbero crescere fino a diventare quasi uno ogni tre. Di conseguenza raddoppieranno anche le classi di età ancora più in avanti con gli anni, con gli over 80 che raddoppieranno e più dai 26 milioni attuali ai 60,1 del 2100.
Una piccola curiosità è anche che, a causa della differenza nelle rispettive speranze di vita, il numero di centenarie donne viene proiettato al 2100 come molto maggiore rispetto a quello degli uomini.
Una delle conseguenze più importanti di questo cambiamento è il crescente squilibrio fra persone potenzialmente occupate e persone anziane uscite dal mercato del lavoro. Mentre oggi per esempio ci sono tre persone in età da lavoro per ogni anziano, nel 2100 questo rapporto sarà minore di due per ciascuno. Per come funzionano i sistemi pensionistici sta ai primi versare regolarmente parte del loro reddito per sostenere i secondi: un equilibrio in pericolo nel momento in cui il rapporto numerico fra i due gruppi si sbilancia troppo.