La notizia arriva dal quinto rapporto annuale pubblicato da Ember and Agora Energiewend a fine gennaio nel quale viene monitorata la produzione di energia elettrica a partire dalle varie tipologie di sorgenti disponibili.
Per la prima volta nella storia europea, complessivamente, le risorse rinnovabili hanno scalzato i combustibili fossili come primaria fonte di elettricità.
Nei grafici che seguono sono stati raffigurati i due trend annuali delle rinnovabili e dei combustibili fossili, rispettivamente colorati di verde e marrone, al cui click sui singoli anni seguirà l’apparire di una mappa che mostra – per l’anno selezionato – la ripartizione delle ventisette nazioni in base alla loro propensione per l’una o l’altra sorgente.
Analogamente al gradiente divergente utilizzato per la heatmap successiva, che vede agli estremi i colori utilizzati per le trend line, la colorazione dei paesi e delle celle è data dalla differenza tra la percentuale di energia prodotta dalle rinnovabili e quella derivante dai combustibili fossili.
Interagendo poi con la heatmap (passaggio del mouse da desktop e click da mobile), sarà possibile vedere l’evoluzione di ogni singola nazione nel corso del tempo.
Sebbene il 38,2% di energia elettrica prodotta dalle energie rinnovabili sia solamente poco più di un punto percentuale rispetto al valore derivante dai combustibili fossili, il sorpasso avvenuto è di buon auspicio per quanto riguarda il futuro, specialmente se si pensa che, in base ai dati disponibili, venti anni fa i numeri raccontavano tutt’altro scenario.
Nel 2000 infatti la percentuale di elettricità “rinnovabile” era meno della metà, assestandosi su un 15,6% mentre la controparte “fossile” era di poco inferiore al 52% (51,7), delineando una situazione che si sarebbe protratta tutto sommato fino al 2006, prima che dal 2007 si cominciassero a vedere i primi segnali dell’inversione di tendenza materializzatasi poi tredici anni più tardi.
Il primato ottenuto dalle risorse rinnovabili è una tappa fondamentale nella direzione dell’energia pulita per quel che riguarda l’Europa e, sebbene il traguardo della riduzione dei gas serra pari al 55% fissato per il 2030 sia ancora distante, è importante notare che il 2020 è stato anche l’anno in cui l’inversione (celle in tono di verde nella heatmap) è avvenuta specificatamente in alcuni paesi come Germania e Spagna, tanto per citare alcune realtà geograficamente prossime all’Italia.
Attenzione, prima di proseguire oltre è comunque bene sottolineare come questa analisi metta a confronto diretto rinnovabili e combustibili fossili in quanto rappresentanti della contrapposizione duale per la sostenibilità energetica, anche se in alcuni paesi europei il contributo del nucleare ha un impatto decisamente significativo creando così una terza macro-sorgente per l’approvvigionamento energetico.
Tra queste realtà si potrebbe citare un altro vicino dell’Italia, vale a dire la Francia che, tanto per dare un’idea, nel 2020 ha visto il 67% della propria produzione elettrica venire proprio dal nucleare, lasciando di conseguenza solo il restante terzo alle risorse rinnovabili (24%) e combustibili fossi (9%).
L’eventuale presenza del nucleare quindi giustifica il perché di alcuni casi in cui la somma dei due contributi rappresentati nelle trendline raggiunge il 100%, mentre in altri invece può esserne ampiamente al di sotto proprio perché esiste una terza fonte di elettricità che potrebbe essere eventualmente entrata in gioco nel corso delle due decadi esaminate.
Ad ogni modo, la crescita del contributo delle risorse rinnovabili a discapito dei combustibili fossili resta un incoraggiante segnale per il futuro specialmente se si considera che nel solo 2020 l’impatto della produzione eolica è aumentata del 9%, mentre quella derivante dal solare è cresciuta del 15%, andando così a comporre una coppia “verde” che è riuscita a generare complessivamente un quinto dell’intera energia elettrica del continente.
Come anticipato, la strada per raggiungere gli standard fissati dall’Europa per il 2030 è ancora lunga, basti pensare che rispetto allo scenario attuale l’apporto della produzione eolica e di quella solare dovrebbero triplicare, ma si potrebbe essere moderatamente fiduciosi alla luce delle previsioni per il 2021 che vorrebbero queste due sorgenti pulite in ulteriore crescita.
Se non altro, rispetto al passato, la diminuzione della componente fossile su scala continentale è innegabile come dimostrato dall’oltre 50% del 2000, arrivato anche al picco del 53,6% nel 2007, diventato poi 37% lo scorso anno a seguito di una progressiva discesa che, dal 2017 in avanti, ha visto un calo costante sempre nell’intorno dei due punti percentuali.
Alla luce dei dati registrati, come specificato nel report pubblicato da Ember, il take-away ottimistico su cui fare affidamento, specialmente per proseguire sulla giusta strada, è che rispetto a cinque anni fa l’energia elettrica europea del 2020 è stata circa il 29% più pulita.
Un percorso comune, ventisette approcci diversi
Nonostante l’obiettivo sia di importanza collettiva, è evidente come ognuna delle nazioni europee abbia una politica energetica diversa dalle altre specialmente se si considera l’arco temporale esaminato.
Ci sono quindi paesi come la Svezia che nel 2020, dando continuità ad un percorso storico ben preciso, ha avuto un bilancio “verde” stimato in 65 punti percentuali di differenza tra la produzione di energia elettrica derivante da risorse rinnovabili (67,6%) e quella proveniente da combustibili fossili (2,2%), assicurandosi il primato europeo facendo meglio dell’Austria che si “ferma” a 58,5 di delta tra le due categorie esaminate (rispettivamente 79,3% e 20,7%).
Il caso della Danimarca, terza per la differenza in punti percentuali (56,4), è forse l’esempio più lampante di come sia possibile compiere una transizione significativa anche nell’arco di soli venti anni considerando che ad inizio millennio il valore era pari a -69,1 per via di un impatto dei combustibili fossili responsabile dell’84,5% percento della produzione elettrica, ridotto invece a poco più del 20% nello scorso anno.
Esplorando la base dati, si potrà notare come fortunatamente il trend europeo sia riscontrabile in ognuna delle nazioni anche se, all’atto pratico, i valori numerici di alcune realtà sono ancora troppo sbilanciati a favore dei combustibili fossili.
Ne sono un esempio paesi come Malta – caratterizzata dalla peggior differenza in termini percentuali pari a -79,8 – a cui poi fanno seguito Cipro (-77,6), Polonia (-66,2), unici tre casi con disavanzo superiore ai cinquanta punti percentuali.
In questo quadro, l’Italia si colloca circa a metà dell’ipotetica classifica a fronte del 56,8% di energia elettrica prodotta via combustili fossili che si traduce in un 43,2% derivante da risorse rinnovabili per via dell’assenza di approvvigionamento nucleare come terza alternativa.
Anche nello scenario italiano, seppur lontano dagli obiettivi imposti come standard per il prossimo decennio, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, si può essere moderatamente speranzosi considerando che il saldo pari a -13,7 punti percentuali del 2020 si attestava su un valore di -62,2 frutto di una produzione di elettricità totalmente affidata alla componente fossile in misura superiore all’82%.