L’esempio perfetto è rappresentato dalla Lombardia. Ovvero una regione che vede tutte le province con meno di 250 casi di positività al nuovo coronavirus ogni 100mila abitanti nell’ultima settimana, con l’eccezione di Brescia che supera questa soglia. Ma vale lo stesso in Emilia-Romagna con Bologna e Rimini. Oppure nelle Marche con Ancona, in Toscana con Pistoia e in Abruzzo con Pescara. O in Calabria con Reggio e Vibo Valentia, con la differenza che qui la soglia è quella dei 50 casi.
È arrivato il momento, in altre parole, di smettere di ragionare su base regionale. Un passaggio già avvenuto, ad esempio, nella “gialla” Lombardia, dove la provincia di Brescia è diventata zona arancione rinforzata. Un provvedimento voluto dal Pirellone, ed esteso anche ad alcuni comuni della bergamasca e del cremonese, proprio per contenere il contagio in zone nelle quali si diffonde a ritmi più elevati che nel resto del territorio regionale. E che limita i danni all’economia nelle aree in cui il nuovo coronavirus si diffonde meno.
L’idea di non istituire più le zone colorate su base regionale pare essere allo studio anche del nuovo esecutivo. InfoData ha scelto di provare a raccontare perché sia più funzionale utilizzando i dati. Intanto, una precisazione. Per costruire questa infografica sono stati utilizzati gli unici dati disponibili su base provinciale, ovvero i nuovi casi, normalizzati ogni 100mila residenti. Si tratta, peraltro, di uno dei tre elementi presi in considerazione settimanalmente dal governo per decidere i colori da assegnare alle regioni.
Ci sono poi gli scenari, che vanno da 1 (focolai localizzati) a 4 (trasmissione non controllata), e l’indice Rt. Determinare quest’ultimo richiederebbe di conoscere anche la popolazione residente, informazione facilmente recuperabile da Istat, ma soprattutto i contagi attivi. Un dato, quest’ultimo, disponibile solo su base regionale. Mentre per il primo servirebbero addirittura i dati relativi alla diffusione del nuovo coronavirus su base comunale. E questi ultimi sono comunicati solo da alcune amministrazioni, ad esempio la provincia autonoma di Bolzano.
Questo per dire che la ricostruzione di InfoData è giocoforza parziale. Ma anche solo prendendo in considerazione i soli casi ogni 100mila abitanti, si vede come le situazioni si differenzino all’interno della stessa regione. Il filtro nella parte bassa, in alto a sinistra per chi legge da desk, consente di isolare una singola regione, per semplificare la lettura della mappa. La scelta è stata quella di colorare di bianco le province che nell’ultima settimana hanno visto una media giornaliera inferiore ai 50 casi ogni 100mila abitanti. Ovvero uno dei requisiti perché si applichino le limitazioni della nuova zona bianca. E di rosso quelle con più di 250 casi, soglia che porta automaticamente in zona rossa.
Peraltro, anche nelle regioni tutte colorate di arancione le situazioni variano da provincia a provincia. Ad esempio in Liguria, si va da 78,5 casi giornalieri ogni 100mila abitanti di La Spezia ai 215 di Imperia. O in Puglia si oscilla dai 58 di Lecce ai 168,6 di Bari. Certo, ragionare in termini provinciali da parte del governo richiederebbe consentire a tutti quell’«accesso a tutte le informazioni, siano essi dati quantitativi o qualitativi» di cui ha parlato il presidente del Consiglio Mario Draghi nella sua replica alla Camera prima del voto di fiducia. Così che sia possibile valutare le decisioni assunte sia a livello centrale che nelle singole regioni e province autonome.
Qui Riccardo Saporiti e Andrea Gianotti discutono dell’articolo, delle mappe e di Covid-19.