Andrà tutto bene, ci siamo detti, gridandolo dai balconi, disegnandolo sui lenzuoli sotto un arcobaleno, facendone un’hashtag. Lo abbiamo fatto, tutti, per darci coraggio di fronte all’ignoto. Un anno più tardi possiamo dirci che non è andato tutto bene per le oltre 100mila persone morte a causa del Sars-CoV-2. Lo possiamo dire, InfoData non potrebbe farlo diversamente, guardando la mappa che apre questo pezzo, che rappresenta la variazione di mortalità tra il 1 marzo ed il 31 dicembre 2020 e la medie dello stesso periodo nel quinquennio 2015-2019.
I territori colorati in arancione sono quelli che hanno visto un incremento, tanto più alto quanto più è scura la tonalità, quelli in azzurro hanno invece registrato un calo. Alzano Lombardo e Nembro, i due comuni della bergamasca simbolo della prima ondata, hanno visto un incremento dei decessi pari rispettivamente al 110,7 e al 138,5%. Vuol dire, in altre parole, che lo scorso anno in questi due paesi si è celebrato il doppio dei funerali. O almeno, lo si è fatto per quei deceduti per cui è stato possibile organizzarla, una cerimonia funebre. Bergamo, il capoluogo, ha visto un aumento del 53,8%.
Numeri, così come sono numeri quelli che da un anno accompagnano il racconto della pandemia. Il pane quotidiano per InfoData, anche se ottenere gli ingredienti per confezionarlo non è stato né semplice, né immediato. Tanto che giusto un anno fa su queste colonne veniva inaugurata una serie di articoli dedicata alla cronaca critica della diffusione dei dati. Un tentativo di spiegare ai lettori la difficoltà nel reperirli, questi dati. Oltre alle cautele con cui sono stati utilizzati e i limiti che avevano.
Il primo episodio raccontava infatti di come ci fossero volute un paio di settimane, il lavoro della Fondazione Gimbe nel raccogliere le informazioni e quello di apertura dei dati da parte dell’associazione onData, prima che la Protezione civile iniziasse la meritoria opera di diffondere quotidianamente, in formato aperto, i numeri relativi a contagi, ricoveri, tamponi e purtroppo decessi.
Numeri ai quali tutti gli italiani, chiusi in casa durante il primo durissimo lockdown, aggrappavano le proprie speranze ogni sera, in quel rito laico che era diventata la conferenza stampa delle 18 nella sede della Protezione civile. Si iniziava a parlare di infodemia e si iniziava a capire che il numero dei contagi dipendeva dal numero dei tamponi effettuati. Ovvero che una parte, più o meno consistente, dei positivi al Sars-CoV-2 sfuggiva ai radar del sistema sanitario. Con il rischio di diffondere il contagio, specie da parte dei soggetti asintomatici.
Lo sforzo di trasparenza della Protezione civile portò anche alla pubblicazione, era il 19 aprile, dei dati relativi ai contratti di acquisto dei dispositivi di protezione individuale. Erano i giorni in cui si discuteva della possibilità di imporre un prezzo calmierato di 50 centesimi al pezzo per le mascherine, caldeggiato dall’allora commissario all’emergenza Domenico Arcuri. Con annessa accusa di essere «liberisti da divano» rivolta a quanti contestavano il provvedimento. Intanto, proprio grazie ai dati aperti, InfoData scopriva che anche la Protezione civile, in qualche occasione, aveva pagato le mascherine più di 50 centesimi l’una.
La dipendenza del numero di nuovi positivi da quello di tamponi effettuati ha portato, nel giro di un paio di mesi, a prendere in considerazione un ulteriore elemento per valutare l’impatto della pandemia. Un indicatore che cioè provasse a dare conto anche di ciò che sfuggiva al monitoraggio attraverso i tamponi. Appunto l’eccesso di mortalità, la variazione nei decessi rispetto alla media del quinquennio precedente. Beninteso, non tutte le morti in più erano dovute alla Covid-19. Ma la variazione più significativa si vide in quelle zone dove più alti erano anche i contagi ufficiali.
L’impiego di questi numeri fu reso possibile grazie allo sforzo di Istat e dell’Istituto superiore di sanità, che dal maggio dello scorso anno aggiornano periodicamente il dato. Arrivando a fornirlo anche su base comunale, cosa che per inciso ha reso possibile realizzare la mappa che apre questo pezzo.
La prima stagione della cronaca critica dei dati sul coronavirus si chiuse la scorsa estate, quando i contagi erano bassi e si sperava di essersi lasciati tutto alle spalle. E i dati sulla diffusione del virus sembravano non interessare più di tanto l’opinione pubblica. In quelle settimane venne pubblicato un rapporto sulle cause di morte dei pazienti positivi al Sars-CoV-2 deceduti. Un rapporto i cui risultati non suscitarono le polemiche che invece avrebbero innescato solo qualche settimana prima.
Ad ottobre dello scorso anno, la redazione di InfoData avvertì un «disturbo nella Forza», per dirla con il maestro Obi-Wan Kenobi di Star Wars. Stava salendo la seconda ondata e stava portando con sé anche una seconda ondata di infodemia. I titoli dei giornali erano pieni di numeri assoluti e tendenze calcolate da un giorno all’altro. Da qui la scelta di dare il via ad una seconda stagione, parlando di incidenze e medie mobili.
La ripartenza dei contagi seguì di qualche settimana la riapertura delle scuole. Sul ruolo di queste ultime nella diffusione della pandemia la discussione è ancora vivace. All’epoca, però, il tema era quello di avere i dati sui contagi all’interno delle classi, così da valutare l’impatto del rientro in classe sulla curva dei contagi. E la cronaca critica non poteva ignorare il tema. Un primo tentativo di raccogliere queste informazioni venne fatto da Vittorio Nicoletta, dottorando all’Université Laval in Quebec, e Lorenzo Ruffino, studente di Economia a Torino. I due iniziarono a raccogliere in un dataset, reso disponibile a chiunque, i dati sui contagi nelle scuole raccolti da notizie di stampa. Uno sforzo titanico, che interruppero quando a metà ottobre l’allora ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina iniziò a comunicare i dati sui contagi nelle scuole su Facebook. Ma che permise di realizzare questa mappa.
Poche settimane più tardi, illustrando i contenuti del Dpcm del 4 novembre, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte promise l’apertura dei dati relativi al contagio. Nel ricordare che questo significava avere dati machine readable, disaggregati e aggiornati con la più alta frequenza possibile, oltre che con una licenza che ne consentisse il riuso, InfoData auspicò che si cominciasse appunto dai dati relativi ai contagi registrati nelle scuole. Ma le aspettative furono deluse.
E lo stesso avvenne con l’inizio del nuovo anno, quando oltre a contagi, ricoveri e decessi si iniziò a dare conto dei vaccini somministrati. In un primo momento, l’allora governo Conte tornò ad affidarsi alle dashboard. Ovvero alle infografiche, simili a quelle pubblicate da InfoData. Utili, certamente, per aiutare il pubblico a comprendere la situazione. Meno in termini di monitoraggio da parte di scienziati e fonti indipendenti. Questione di pochi giorni, però, e il Team per la Trasformazione digitale e Agid seguirono l’esempio della Protezione civile pubblicando i dati relativi a consegne e inoculazioni. Consentendo, ad esempio, di realizzare mappe come questa:
Quanto sia importante che i dati siano aperti e consultabili anche da ricercatori indipendenti lo capirono, sperimentandolo loro malgrado, i lombardi. Quando infatti il Pirellone si decise a pubblicare i numeri che vengono utilizzati per calcolare l’indice Rt, uno degli elementi che contribuisce a stabilire l’inserimento in una delle zone colorate decise dal vecchio governo per determinare le misure di contenimento alla pandemia, si scoprì che la Lombardia era rimasta zona rossa una settimana di troppo. Colpa dell’algoritmo, si disse, costringendo la cronaca critica ad occuparsi anche di questi ultimi.
In una inspiegabile coazione a ripetere, qualche settimana dopo si scoprì che la Regione Lombardia era rimasta zona gialla più a lungo del dovuto. Anche in questo caso, ad accorgersene fu Vittorio Nicoletta, uno dei tanti che in questi mesi sta utilizzando gli open data per monitorare la gestione della pandemia. Poche ore dopo che i giornali iniziarono a scrivere, arrivò l’ordinanza del presidente Attilio Fontana che da un giorno all’altro chiuse le scuole e portò la regione all’arancione rinforzato.
Dal punto di vista dei dati questi dodici mesi sono stati insomma abbastanza movimentati. In tutto questo, oltre a raccontare quando accaduto attraverso la cronaca critica della diffusioen dei dati, InfoData ha aderito a #datiBeneComune, una petizione lanciata da Transparency International Italia e da onData per chiedere al governo l’apertura di tutti i dati relativi alla pandemia. Le firme raccolte sono più di 48mila, ma dal punto di vista degli open data la strada resta ancora lunga.