Nel 2019, prima della crisi pandemica, gli indicatori di salute degli over 75 erano in miglioramento. Come conferma l’Istat dal 2015 anno della prima rilevazione abbiamo assistito a un lento progressivo aumento della speranza di vita, che a 65 anni è di 19,4 anni per gli uomini e di 22,4 anni per le donne. Con il Covid-19 assistiamo invece a una riduzione della vita media attesa a 65 anni: -1,3 anni per gli uomini e -1 anno per le donne, con un arretramento di circa 10 anni dei livelli dell’aspettativa di vita.
Il rapporto Istat sulla salute degli anziani ci può aiutare a valutare l’impatto sociale sulla popolazione più fragile, proprio partendo dalle condizioni economiche. L’offerta di case di cura e assistenza agli anziani era insufficiente anche prima del Covid-19. In Italia, il 44,2% delle persone di 65 anni e più con gravi difficoltà dichiara di non avere adeguati ausili o assistenza. Nel confronto con altri paesi europei, l’Italia si colloca poco sotto la media dei paesi Ue22 (47,2%). Vuole dire che chi non ha le risorse finanziarie per permettersi cure private o non ha una famiglia in grado di prendersi cura di lui si trova in Italia in grande difficoltà. Proviamo a vedere i numeri di una disuguaglianza che era già presente nel 2019 e che con il Covid-19 è destinata ad accentuarsi ancora di più in modo drammatico.
Le disuguaglianze sociali nella salute. Circa un terzo degli over 75 presenta una grave limitazione dell’autonomia e per un anzi. ano su 10 questa incide sia sulle le attività quotidiane di cura personale che su quelle della vita domestica. Le persone con gravi difficoltà nelle funzioni di base sono più concentrate nelle regioni del Mezzogiorno (32,1%, quoziente standardizzato) rispetto al Centro (25,5%) e al Nord (22,9%). Per essere più chiari parliamo di persone che lamentano gravi difficoltà a fare il bagno e doccia da soli, vestirsi e spogliarsi, alzarsi e sdraiarsi dal letto fino a mangare da soli. Sono il 10,6% degli anziani (1 milione e 437mila persone). La gran parte degli anziani con grave riduzione di autonomia nelle attività di cura della persona riferisce anche gravi difficoltà nelle attività quotidiane della vita domestica. Sommando si arriva a stimare che un anziano su tre non ce la fa da solo.
Chi li aiuta? La famiglia resta il principale sostegno cui possono far ricorso le persone anziane, anche se, come rileva Istat, la rete di aiuti familiari e quella di aiuti informali hanno subito nel tempo un forte ridimensionamento. Per dare una dimensione quantitativa a quello di cui stiamo parlando, oltre il 50% degli anziani riceve aiuto dai familiari non in maniera esclusiva, il 17% si avvale di personale a pagamento e il 6,4% riceve aiuto da altre persone (amici, associazioni di volontariato, ecc.). Nel complesso il 65,2% della popolazione over 65 con riduzione di autonomia non necessariamente grave, usufruisce di aiuti da parte di familiari, di persone a pagamento o di altre persone. Gli anziani che vivono soli, circa 670mila compensano l’assenza del sostegno di familiari conviventi con un maggiore ricorso agli aiuti a pagamento (44%) e in particolare alla figura della badante (31%).
L’offerta di sanità pubblica non è sufficiente. Dopo i 75 anni, i tassi di ricorso a medici specialisti e ricoveri ospedalieri sono circa 1,5 volte più elevati della media. Aumenta in maniera significativa anche la domanda di esami specialistici e di prestazioni di riabilitazione, in particolare in presenza di severe difficoltà nelle attività di cura della persona. In base alle interviste effettuate da Istat, la quasi totalità degli anziani si è rivolta al medico di famiglia almeno una volta (89,9%), circa due anziani su tre hanno fatto ricorso a visite specialistiche (66,1%) e uno su due si è sottoposto a esami specialistici (49,3%). La macchina della sanità pubblica era in affanno anche prima della pandemia che come ha scritto bene Riccardo Saporiti nella sua inchiesta “Pazienti Dimenticati” è stata sopraffatta dal virus. Ma c’erano segnali di miglioramento rispetto al passato.
Prima della pandemia meno difficoltà di accesso ai servizi sanitari
Nel 2019, il 10,2% degli anziani ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria per motivi economici, inclusi non solo esami e cure mediche o dentistiche, ma anche psicoterapie o consumo di farmaci prescritti (in calo rispetto al 12,5% del 2015). Si è ridotta – passando dal 22,3% del 2015 al 19,6% nel 2019 – anche la quota di over 65 che hanno dovuto rinviare prestazioni sanitarie (visite mediche, analisi cliniche, accertamenti diagnostici, ecc.) a causa di lunghe liste di attesa. Questi miglioramenti hanno riguardato in particolare gli anziani fino a 84 anni mentre tra gli over 85 non si sono osservate variazioni significative. Le difficoltà di accesso ai servizi sanitari sono riferite soprattutto dagli anziani di 75-84 anni, eccetto la rinuncia a esami o trattamenti dentistici per motivi economici che è più elevata tra i 65-74enni (6,0%). Il divario di genere è più accentuato per la rinuncia a esami o cure mediche per motivi economici (4,3% per gli uomini e 6,4% per le donne) e meno evidente per il ritardo con cui si ottiene una prestazione sanitaria per le lunghe liste di attesa (19,0% negli uomini di 65 anni e più, 20,1% nelle donne della stessa età).
Le conseguenze del Covid-19. Nel breve periodo è difficile stimarle ma nel lungo periodo le conseguenze di esami rinviati, disuguaglianza economica e difficoltà di accesso alle cure mediche saranno più evidenti e, come sottolinea Istat, a pagare il prezzo più alto sarà la parte di popolazione più povera e con un livello di istruzione più basso.Ricordiamo che solo nel 2020 (dati Iss e Istat) ci sono stati in Italia 1.648.366 casi positivi. Dei 66.000 decessi in persone con diagnosi confermata di Covid.19; il 91,7% e il 81,5% erano di uomini e donne rispettivamente con più di 70 anni d’età. Gli over 75 hanno subito più di tutti il Covid-19. E il calvario non è ancora finito.
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