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economia

Le mappe di Open Street Map, i Big data di Istat e gli incidenti stradali

Pensate che la cartografia digitale sia solo quella fornita dalle grandi società dei servizi digitali, come Google o Microsoft? È perché ancora non avete incontrato Open Street Map.

Nato nel 2004, è un servizio come Wikipedia ma per le mappe: gli utenti (e le istituzioni) contribuiscono personalmente e gratuitamente a inserire tutti dati spaziali degli elementi che si trovano nella realtà per costruire una rappresentazione digitale del terreno.

Tutti possono così utilizzare queste informazioni in forma libera, ad esempio per fare ricerca, oppure gestire applicazioni o anche per generare delle carte particolari, come quella dei percorsi ciclabili, prendendo solo alcune delle informazioni inserite.

Anche Istat ha iniziato ad utilizzare il servizio OSM per le proprie analisi: e per uno scopo che potrebbe efficacemente migliorare la vita di molti italiani.

A partire dal 2019, infatti, l’Istituto di statistica associa a ciascun pezzetto di strada (in gergo tecnico, “arco”) gli indicenti stradali rilevati e raccolti a livello nazionale. Lo scopo è appunto quello di permettere di individuare quali sono i tratti più pericolosi a seconda delle condizioni di traffico, di conformazione della strada (la larghezza della carreggiata ad esempio) e le altre informazioni di contesto.

Nel 2019, sempre secondo Istat, sono decedute più di 3mila persone a causa delle lesioni riportate per le collisioni tra veicoli (automobili, moto e biciclette, ad esempio) o tra questi e i pedoni. Una tragedia che assume proporzioni enormi proprio perché ripetuta nel tempo: basti pensare che negli ultimi trenta anni sono morti complessivamente più di 160mila italiani. Come se fosse sparita per sempre una città delle dimensioni di Cagliari. E, nello stesso periodo, si sono registrati 8milioni e 600mila feriti, tra quelli più e meno gravi.

Se da un lato i dispositivi di sicurezza attiva e passiva di cui i veicoli sono ora dotati hanno contribuito a ridurre notevolmente il numero di fatalità, che si è dimezzato negli ultimi venti anni dal picco del 2001, dall’altro questa discesa sembra essersi arrestata. Ovviamente ci si aspetterà un numero minimo nel corso del 2020, ma questo sarà dovuto a circostanze eccezionali e irripetibili come il lockdown: non appena la vita tornerà come prima, anche questa striscia di sangue sulle nostre strade continuerà presumibilmente a correre in modo proporzionale, se non facciamo nulla per fermarla.

I Big Data di Istat e le mappe OSM possono però a contribuire nell’elaborazione di politiche efficaci: sapendo quali sono i tratti più pericolosi, ad esempio, è possibile individuare quali caratteristiche ambientali incrementano (o, viceversa, riducono) il rischio, in quali periodi dell’anno o del giorno, con quali condizioni esterne. Una vera miniera d’oro per i comuni e gli enti che gestiscono le strade in concessione, poiché possono mirare le attività manutentive delle arterie viarie, legandole a precise informazioni. Illuminazione carente? Carreggiata stretta? Meglio un semaforo o una rotonda? Le risposte possono anche venire al buon senso, ma certamente i dati aiutano a capire dove – e come – è possibile spendere meglio i soldi pubblici, che non sono infiniti, per ottenere i risultati migliori.

Insomma, la statistica non serve solo per “registrare” i fenomeni dopo che sono accaduti: anzi, proprio nella definizione delle politiche pubbliche, può essere fondamentale per far prendere delle decisioni corrette in vista di obiettivi comuni. E ridurre drasticamente le vittime della strada è certamente uno di quelli sui quali nessuno può dirsi contrario.