La grande onda è un progetto di data journalism e il risultato di una fellowship durata un anno della Scuola Superiore di Studi Avanzati (SISSA, Trieste), un centro di ricerca che si occupa di fisica, neuroscienze, matematica e comunicazione della scienza.
Ho guidato il progetto come data journalist, e mi è sembrata l’occasione perfetta per staccare un attimo dalla scrittura di emergenza che ci ha coinvolti tutti per l’ultimo anno e mezzo. Dati tempo e risorse, volevamo lavorare con calma su quello che era successo nel 2020 concentrandoci soltanto sulle migliori informazioni disponibili.
Il progetto esplora la fase iniziale della pandemia, dai primi casi confermati al grande focolaio di Bergamo, mostrando i suoi effetti fisici, mentali, economici e sociali.
La seconda metà del lavoro si concentra sulla risposta pandemica. Abbiamo pensato che il virus si comportasse in un certo modo, ma era quello giusto? In molte grandi nazioni occidentali le politiche si sono concentrate sul contenimento e sui lockdown, con le misure di sanità pubblica in larga parte basate sul presupposto che SARS-CoV-2 si diffondeva per tanti aspetti come un virus influenzale. Quando è diventato chiaro che le cose non stavano affatto così, però, la risposta pandemica in occidente ha faticato moltissimo ad adattarsi e spesso non l’ha mai fatto.
D’altra parte diverse altre nazioni (spesso in Asia, ma non solo), sono state in grado di capire meglio come funzionava il virus fin dall’inizio e hanno agito di conseguenza. Per fare solo un paio di esempi, già il 17 gennaio 2020 agli abitanti di Hong Kong veniva consigliato di evitare i luoghi affollati e poco ventilati. Molti altri paesi hanno invece impiegato mesi e mesi per prendere atto che il virus potesse esse trasmesso anche a distanza tramite aerosol, ovvero attraverso particelle piccole abbastanza da restare sospese nell’aria come una nebbiolina. Com’è ovvio, capire le modalità reali attraverso cui il virus si diffonde non potrebbe essere più fondamentale.
Il giorno successo, 18 gennaio 2020, il Giappone comincia a produrre in massa le mascherine, con le fabbriche che passano a turni di 24 ore. Dall’altra parte del mondo, al contrario, il loro uso veniva sconsigliato e a volte persino trasformato in un punto di battaglia politica. Da noi il contact tracing avanzato o l’uso di app per il tracciamento dei casi raramente ha preso piede, mentre altrove si è rivelato utilissimo per identificare e interrompere nuove catene di contagio.
Il punto finale di questo approccio, mostrano le nostre ricerche, è che molti grandi paesi europei e gli Stati Uniti hanno avuto fra i peggiori esiti possibili: un numero altissimo di morti, economia a pezzi, enormi limitazioni alle libertà personali diventate a un certo punto inevitabili pur di non far collassare i sistemi sanitari. D’altra parte le nazioni che hanno seguito davvero la ricerca sul virus, e adattato la propria risposta a essa, sono riuscite a limitare molto le perdite in tutti e tre gli aspetti.
Per la parte visuale del progetto abbiamo lavorato con l’information designer Federica Fragapane. Fin dall’inizio abbiamo deciso che le visualizzazioni avrebbero dovuto mostrare che stavamo parlando di persone e delle loro storie, non di cerchi e quadrati astratti. Così abbiamo speso diverso tempo cercando di capire quali design avrebbero funzionato meglio in questo senso, trovandone a volte di abbastanza inusuali.
La nostra speranza è che i numeri non tolgano nulla a quella che è la più umana delle storie.
La grande onda è stato possibile grazie alla SISSA e a Paolo Giordano, che l’hanno finanziato. Il progetto può essere consultato su grandeonda.it.