A proposito di Greta Thunberg in visita in Italia per i lavori preparatori della conferenza delle Nazioni Unite sul clima riproponiamo un “giochino” sulle emissioni di CO2. Buona lettura.
Ci sono un cinese, uno svedese e un americano di sessant’anni. No, non è l’incipit di una vecchia barzelletta sugli stereotipi culturali ma l’inizio del tentativo di rispondere alla domanda: “di chi è la colpa del riscaldamento globale?“.
La stragrande maggioranza degli scienziati ritiene che la principale causa del repentino innalzamento della temperatura del pianeta sia l’uomo.
In particolare, i gas serra (anidride carbonica e metano in primis) per le quantità rilasciate nell’atmosfera sono tra i principali accusati del fenomeno. Tanto per restare alla sola CO2, dalla rivoluzione industriale ad oggi la quantità emessa è enorme. Se fino ad una certa soglia le risorse naturali della Terra sono riuscite ad assorbirla per mantenere il delicato equilibrio che regola la temperatura del pianeta, ora la situazione è radicalmente cambiata.
La popolazione, inoltre, è aumentata fino a superare i sette miliardi e mezzo di individui. Occorre quindi soddisfare i bisogni di un numero di soggetti sempre crescente e garantire standard di vita elevati (un tempo prerogativa di una piccola percentuale di esseri umani) a molte più persone. I paesi in via di sviluppo, quindi, consumano molta più energia rispetto al passato per recuperare il gap economico con l’Occidente.
Oggi sappiamo che è la Cina, in termini assoluti, il paese che emette più anidride carbonica e che invece sono le economie del Golfo quelle che guidano le classifiche pro capite.
Il grafico sottostante, invece, analizza i dati forniti dalla Banca Mondiale e li pone in ottica storica: un adulto nato nel 1960 e che l’anno prossimo compirà 60 anni, quante tonnellate di CO2 ha prodotto nella sua vita? La risposta, in primo luogo è: dipende da dove è cresciuto.
Un cinese, ad esempio, ha trascorso tutta la sua infanzia e una parte della giovinezza in un paese fondamentalmente agricolo con attività secondarie arretrate e infrastrutture modeste se non assenti. Il boom economico del più popoloso paese al mondo avviene in anni relativamente recenti e di conseguenze il conto totale delle emissioni di CO2 a lui imputabile si ferma a 179 tonnellate.
Nello stesso periodo un ipotetico zio svedese di Greta Thunberg – la giovane attivista ideatrice del movimento “Fridays for future” – ne ha prodotte 425, ossia poco meno di due volte e mezza del coetaneo cinese e nove volte di più rispetto a un indiano. Grazie ad uno stile di vita decisamente più agiato, un’industrializzazione più spinta, servizi di trasporto e condizioni abitative migliori che hanno portato ad un benessere incomparabilmente più elevato, egli si è tuttavia reso “colpevole” di una produzione di CO2 molto maggiore.
Tra i paesi presi in esame nell’Info Data sono gli Stati Uniti a guidare la classifica con oltre 1.100 tonnellate pro capite in 6 decenni, mentre il Canada segue con poco meno di mille.
E l’Italia? Un nostro connazionale pari età ne avrebbe prodotta 379 tonnellate, valore simile agli altri grandi paesi europei. In ogni caso molta di più rispetto ai paesi in via di sviluppo presi in esame, ma solo circa un terzo di un cittadino statunitense.
Guardare solo al passato, dal punto di vista scientifico, potrebbe non essere del tutto corretto, vista la molteplicità di fattori da tenere in considerazione: cambiare prospettiva, tuttavia, forse aiuta a riflettere sul fatto che i paesi più poveri, quando chiedono a quelli più ricchi di farsi carico degli sforzi maggiori per contrastare il cambiamento climatico, non hanno tutti i torti.
Nota: i dati degli anni 2015-2019 sono calcolati per ciascun paese sulla base di quelli riportati nei periodi immediatamente precedenti, secondo un peso che ne valuta il trend storico recente. Per la Germania i dati disponibili partono dal 1991: quelli precedenti sono stati stimati a partire da quest’ultimo sulla base dell’andamento di altri paesi europei.