Tutte le nazioni europee consentono di associare la malattia da COVID-19 a un’attività lavorativa, riporta un report dell’agenzia europea di statistica Eurostat, ma le forme concrete in cui questo avviene sono diverse da paese a paese.
L’Italia, con Slovenia e Spagna, è una delle tre nazioni in cui il COVID-19 può essere considerato un incidente sul lavoro, mentre nella maggior parte degli altri casi (17, fra cui Francia, Portogallo, Olanda) esso può venire riconosciuto come una malattia di origine lavorativa. In cinque altre nazioni, fra cui Germania, Danimarca e Austria, il riconoscimento della malattia per l’una o l’altra ragione dipende da alcuni criteri nazionali. Soltanto in Grecia e Irlanda il COVID-19 può essere associato al lavoro, ma non viene specificato se si tratta di un incidente o di una malattia lavorativa vera e propria.
Il report ricorda che la crisi sanitaria ha evidenziato i rischio lavorativi associati al COVID-19, con possibili ripercussioni per l’assicurazione contro gli incidenti sul lavoro e sulle malattie professionali. Per questa ragione nel novembre 2020 Eurostat ha lanciato un’indagine per studiare che legame le nazioni hanno stabilito fra la malattia e i rischi sul luogo di lavoro. Essa copre le 27 nazioni membro dell’UE più Norvegia e Svizzera.
Un esempio di come l’evento viene riconosciuto dall’ordinamento italiano riguarda lavoratori e lavoratrici della sanità, che secondo quanto segnalato a Eurostat dalle autorità che hanno risposto alla sua inchiesta “sono sottoposti a un rischio significativo di contrarre il COVID-19 dalla pandemia in corso, e di conseguenza sono protetti dall’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro dell’INAIL, poiché si assume che si sia ammalati sul luogo di lavoro”. L’INAIL ha poi esteso questo questo presupposto anche ad altre categorie di lavoratori in contatto costante con il pubblico, come cassieri, addetti alle pulizie, lavoratori di banca, addetti alle pulizie, operatori di ambulanze e trasporti e così via.
Nel caso di lavoratori sanitari o altre professioni ad altro rischio, l’INAIL conduce un’investigazione per stabilire che le cause dell’infezione siano effettivamente dovute al lavoro e non ad altri fattori. Questa copertura include anche eventuali infezioni contratte recandosi o tornando dal lavoro, ma di nuovo avviene soltanto dopo che il mezzo di trasporto, il tragitto e la frequenza del viaggio siano stati accertati.
Anche in Spagna il riconoscimento della malattia come incidente sul lavoro richiede di provare un’associazione fra esso e l’infezione, in maniera simile a quanto avviene in Italia. In Slovenia, d’altra parte, è sufficiente un tampone che attesti l’infezione durante il lavoro.
Dove invece si parla di malattia lavorativa, come in Francia, l’associazione con il COVID-19 è automatica purché si parli di personale sanitario e si sia stati almeno ricoverati. Per gli altri casi viene invece formato un comitato che analizza la situazione caso per caso. In Olanda il riconoscimento della malattia lavorativa è più semplice, e si basa su una combinazione di un tampone positivo e di sintomi coerenti con la malattia da parte del soggetto.
In Germania, come anticipato, i lavoratori possono ricadere sotto l’una o l’altra alternativa. Si tratta di un incidente sul lavoro se l’infezione è dovuta a un elevato numero di contatti professionali con una persona che si sa essere positiva (o “caso indice”), sia per durata che per intensità. Se uno specifico caso indice non viene identificato, è comunque possibile che l’incidente sul lavoro venga riconosciuto se si può provare che il soggetto abbia lavorato in un luogo in cui era presente un gran numero di persone infette dal virus. Perché questo succeda, comunque, il prerequisito è che l’aumento del rischio si possa attribuire alla responsabilità dell’azienda, fatte salve alcune condizioni specifiche come eventuali contatti a rischio al di fuori dell’attività lavorativa. D’altra parte il riconoscimento della malattia lavorativa si applica ai malati che lavorano nel sistema sanitario, nel welfare, in laboratorio o in altre attività con un simile (ed elevato) livello di rischio d’infezione. Anche in questo caso l’infezione deve essere il risultato dell’attività lavorativa e non di altri eventi.
In Danimarca l’approccio è pragmaticamente basato anche sull’esposizione, e per parlare di incidente sul lavoro il malato deve avere una diagnosi di COVID-19 (spesso confermata da un test) nonché essere stato esposto al virus sul lavoro per meno di cinque giorni. Se invece l’esposizione è di durata maggiore si parlerà invece di malattia professionale.