Nel 2020 l’intervento pubblico ha ridotto le disuguaglianze di reddito in Italia di 14,1 punti percentuali nell’indice di Gini. Si va dal 44,3% del reddito primario (ovvero prima dell’intervento redistributivo dello stato) al 30,2% del reddito disponibile (ovvero dopo l’azione pubblica dei trasferimenti monetari e dell’imposizione fiscale). Sono le stime dell’ultimo rapporto Istat in cui l’istituto ha provato a misurare qual è l’effetto del welfare sull’economia delle famiglie italiane, e più in dettaglio anche quanto hanno funzionato le varie misure straordinarie create per rispondere all’emergenza sanitaria.
L’indice di Gini dei redditi è una indicatore che misura quanto essi sono concentrati in un certo numero di individui o di famiglie, e la sua funzione principale in economia consiste nella misura della disuguaglianza. Tanto più l’indice è elevato, tanto più i redditi sono concentrati in poche persone e dunque la disuguaglianza è maggiore e viceversa.
Lo Stato sociale italiano è in larga parte basato sul sistema pensionistico, che rappresenta la principale misura redistributiva. Tuttavia nel 2020 è aumentata molto anche l’importanza degli altri trasferimenti come la cassa integrazione o il reddito di cittadinanza. A queste vanno sommati i programmi straordinari per fronteggiare le conseguenze economiche dell’epidemia. Le simulazioni dell’istituto suggeriscono che le misure straordinarie, insieme all’ampliamento di quelle esistenti, hanno contribuito a sostenere i redditi delle famiglie riducendo la disuguaglianza. Se non ci fossero state, dice l’Istat, invece di ridursi al 30,2% l’indice di Gini sarebbe rimasto al 31,8%, quindi 1,6 punti in più. Nello stesso scenario, il rischio di povertà sarebbe stato del 19,1% invece che del 16,2% come invece è successo.
Le varie misure hanno comunque un’efficacia molto diversa, ovvero riescono a ridurre la povertà più in alcuni casi e meno in altri. Per esempio i trasferimenti a favore delle famiglie sono la misura più progressiva, perché va di frequente ai nuclei poveri, mentre altre lo sono meno. Fra queste è a volte il caso delle pensioni, che possono trasferire risorse dai giovani agli anziani, quando in questi ultimi la povertà è molto più frequente.
L’efficacia delle misure è stata maggiore per i disoccupati, per i quali il rischio di povertà è calato di 6,9 punti percentuali, e per gli inattivi (cioè chi non ha un lavoro né lo sta cercando) con 3,5 punti. Ben meno per gli autonomi dove invece la riduzione è stata di 2,6 punti. Questi ultimi avendo un lavoro sono meno esposti alla povertà di disoccupati o inattivi , ma comunque più di dipendenti e pensionati rispetto ai quali godono di minore stabilità.
A differenza di altre misure il bonus per i lavoratori autonomi si è basato su cifre fisse erogate a prescindere dalla situazione economica di chi l’ha ricevuto. Questo ha fatto in modo che lo ricevessero anche molte persone nel 20% dei redditi maggiori, e che dunque ne avevano meno bisogno. Viceversa il reddito di emergenza è andato in larghissima parte a famiglie che si trovavano nel 20% più povero dei redditi. Entrambi hanno avuto importi paragonabili, con quest’ultimo di poco superiore ai 2mila euro mentre il bonus autonomi poco meno di 1.900 euro, ma date le loro caratteristiche il reddito di emergenza è stato più efficace in quanto diretto verso le persone giuste.
Altre misura discusse nel documento riguardano i figli. Da un punto di vista redistributivo, sottolinea Istat, “l’introduzione dell’assegno unico per i figli è la prima parte di una più ampia riforma della tassazione diretta e delle spese fiscali, con l’obiettivo di una riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro” e della diminuzione del prelievo sui ceti medi e sulle famiglie con figli. In attesa della riforma il governo ha recentemente approvato una misura “ponte” che prevede, nel secondo semestre del 2021, due interventi: un assegno temporaneo per i minori e una maggiorazione dei già esistenti assegni per il nucleo familiare. La stime dei loro effetti effettuata dai modelli dell’Istat suggerisce che “il 5,5% delle famiglie italiane beneficerebbe dell’assegno temporaneo e il 15,8% della maggiorazione degli assegni familiari. Entrambe le misure risultano progressive rispetto al reddito delle famiglie. Il 10,4% delle famiglie beneficiarie dell’assegno temporaneo appartiene al quinto più povero mentre solo l’1,3% a quello più ricco. La maggiorazione degli assegni al nucleo familiare favorisce il 22,6% delle famiglie del primo quinto e solo il 3,7% dell’ultimo”.
L’insieme di quanto fatto dallo stato italiano appare comunque meno efficiente che in tante altre nazioni sviluppate. Nonostante le varie misure infatti i redditi familiari sono comunque caduti molto più che altrove, durante la fase iniziale dell’epidemia. Allo stesso tempo, un’analisi dell’istituto europeo di statistica ha trovato che i trasferimenti monetari sono andati più spesso alla classe media che ai poveri. Per quante risorse si possano impiegare, lo stato sociale italiano ha storicamente grandi difficoltà nel farle arrivare a chi davvero ne ha bisogno.