Ovvero Emilia-Romagna, Lombardia e Trentino-Alto Adige, come mostrano gli ultimi dati dell’istituto europeo di statistica. In generale i residenti sono diminuiti più al sud che al nord, con regioni come Basilicata, Calabria e Molise che in un anno hanno perso circa un abitante ogni cento.
Anche nelle aree in cui è avvenuta, la crescita demografica è stata comunque piuttosto modesta. In Emilia-Romagna la popolazione è aumentata dello 0,1%, in Lombardia dello 0,2, a Trento dello 0,3 e a Bolzano dello 0,4.
Già prima dell’epidemia la demografia italiana era uno degli aspetti più problematici del paese, con una popolazione in calo in rapido invecchiamento, con il numero di nascite o di arrivi dall’estero non in grado di compensare quello di decessi. La pandemia di COVID-19 ha colpito un aspetto già fragile: se nel 2015-2019 erano morte in media circa 650mila persone l’anno, il virus ha portato questa cifra a circa 750mila nel 2020 con aumento del 15,6%.
Come ha ricordato Istat, “al 31 dicembre 2020 la popolazione residente è inferiore di quasi 384 mila unità rispetto all’inizio dell’anno, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze”, mentre “gli effetti negativi prodotti dall’epidemia COVID-19 hanno amplificato la tendenza al declino di popolazione in atto dal 2015”.
Al record di decessi si affianca quello delle poche nascite, per una combinazione negativa mai sperimentata dal secondo dopoguerra. La differenza fra nati e morti ha raggiunto nel 2020 le -342mila persone, il secondo peggior valore dall’unità d’Italia dopo quello causato dall’epidemia di “spagnola” nel 1918. Le nascite sono state infatti “404.104, quasi 16 mila in meno rispetto al 2019 (-3,8%). La geografia delle nascite mostra un calo generalizzato in tutte le ripartizioni, più accentuato al nord-ovest (-4,6%) e al sud (-4,0%). I tassi di natalità pongono la provincia autonoma di Bolzano al primo posto con 9,6 nati per mille abitanti e la Sardegna all’ultimo con il 5,1 per mille. In tutti i mesi del 2020 si registrano valori percentuali inferiori a quelli dello stesso periodo del 2019, ad eccezione di febbraio con il 4,5% in più, in parte dovuto al giorno in più nel calendario 2020. Il calo delle nascite si accentua nei mesi di novembre e soprattutto di dicembre (-10,3%), il primo mese in cui si possono osservare eventuali effetti della prima ondata epidemica. L’andamento delle nascite nel corso del 2021 consentirà di avere un quadro più nitido delle conseguenze della crisi economica”.
L’istituto di statistica sottolinea che le cause delle poche nascite vanno cercate in quegli stessi fattori che hanno contribuito al trend negativo dell’ultimo decennio, con una progressiva riduzione della popolazione in età feconda e il clima di incertezza per il futuro. “Il senso di sfiducia generato nel corso della prima ondata, soprattutto al Nord, può aver portato alla decisione di rinviare la scelta di avere un figlio. Al contrario, il clima più favorevole innescato nella fase di transizione può avere avuto effetti benefici transitori, poi annullati dall’arrivo della seconda ondata”.
Se le nascite non sono in grado di bilanciare le morti, l’unico altro flusso in grado di sostenere la popolazione è quello in arrivo dall’estero. Tuttavia anch’essi sono crollati, portando all’ulteriore ribasso un trend in calo già dal 2019. Gli arrivi da altre nazioni mostrano “una diminuzione nei primi due mesi dell’anno (-8,8%) per poi crollare durante la prima ondata (-66,3%) e recuperare lievemente (ma sempre con una variazione negativa) nel corso dell’anno (-23,3% nella fase di transizione e -18,2% nella seconda ondata)”. Allo stesso tempo l’emigrazione degli italiani (141.900 persone in totale), “evidenziano uno slancio di partenze nella fase pre-COVID (+20%), una consistente riduzione durante la prima ondata (-37,3%), una lievissima ripresa durante la fase di transizione (+0,8%) e un ulteriore crollo in corrispondenza della seconda ondata (-18,4%)”.
A monte delle nascite c’è il processo di creazione di nuove famiglie, che è stato anch’esso inceppato dall’arrivo del virus. I dati dei matrimoni e delle unioni civili mostrano un calo significativo nel 2020, con i primi diminuiti del 47,5% rispetto al 2019 (quando erano già stati meno che in passato). A gennaio e febbraio 2020 i matrimoni erano stati leggermente più che nel 2019, ma le misure di contenimento del contagio ne hanno fatto calare moltissimo il numero rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-81% fra marzo e agosto).
Con le riaperture estive “non si osserva un significativo recupero dei matrimoni rimandati a causa del lockdown. La persistenza di regole restrittive sulle modalità di celebrazione (limite agli assembramenti, numero contenuto di partecipanti consentiti per evento, obbligo di uso di dispositivi di protezione in luoghi chiusi), le limitazioni ai viaggi internazionali, nonché il sopraggiungere delle prime difficoltà economiche, hanno indotto verosimilmente le coppie a rimandare il matrimonio a periodi più favorevoli. Prosegue quindi, anche durante l’estate, il calo delle nozze, anche se più contenuto rispetto alla prima ondata (-48,8%); si conferma inoltre la diminuzione più accentuata dei matrimoni religiosi (-67,6%) rispetto ai matrimoni civili (-24,5%). Nonostante il sopraggiungere della seconda ondata, con conseguente inasprimento delle misure di contenimento dell’epidemia, nell’ultimo trimestre dell’anno la diminuzione delle nozze rallenta, il 19% circa in meno rispetto al 2019, -8,8% nel caso dei matrimoni civili”.