L’epidemia di Covid-19 ha fatto diminuire la partecipazione degli europei alle attività di formazione per adulti. Nel 2020, secondo gli ultimi dati Eurostat, la percentuale di 25-64enni coinvolti è al 9,2%, calata di 1,6 punti percentuali rispetto all’anno precedente quando era stata del 10,8%.
La formazione per adulti include tutte quelle attività, formali o non, intraprese in maniera sistematica allo scopo di migliorare conoscenza, abilità e competenze. Quelle misurate da Eurostat includono attività svolte almeno nell’ultimo mese precedente alla rilevazione.
Nel 2009 l’Ue aveva stabilito un obbiettivo da raggiungere entro il 2020, ovvero un tasso di partecipazione a queste attività di almeno il 15% degli adulti. Tuttavia il risultato non è stato raggiunto, e anche al di là degli effetti dell’epidemia resta ancora piuttosto lontano. Soltanto nazioni come Danimarca, Finlandia e Svezia hanno riportato valori di almeno il 20%, con Estonia, Olanda e Lussemburgo invece che superano appunto il 15%. Diverse altre come Romania, Bulgaria, Slovacchia, Croazia e Polonia si trovano invece sotto il 4%, mentre l’Italia è rimasta per diversi anni intorno all’8% per poi superare di poco il 7 nel 2020.
Rispetto al 2020, fra le principali nazioni europee il calo maggiore è stato rilevato in Francia, dove è valso circa sette punti percentuali. Il valore appare invece stabile o persino in leggerissimo rialzo in Spagna, in lieve calo in Germania e ancora più in Italia che però partivano da livelli ben più bassi.
Uno degli elementi che influenza la partecipazione alla formazione continua è il livello di istruzione: laureati e laureate tendono a usufruirne molto di più rispetto a chi un titolo di studio minore, nonostante queste ultime persone ne abbiano generalmente più bisogno nel mercato del lavoro.
Una rilevazione precedente ha mostrato che i datori di lavoro sono l’origine più comune di attività di istruzione e formazione, fornendone circa un terzo del totale UE. Un altro 20% è arrivato da istituzioni non formali, e un altro 10% da organizzazioni commerciali per cui questo genere di attività erano secondarie. Quasi altrettanto frequenti e intorno al 7-8 le attività da parte di istituzioni educative formali e non profit.
In questo senso l’Italia è vicina alla media europea, con buona parte della formazione continua fornita dai datori lavoro. Una particolarità è che nel nostro paese, rispetto all’UE, appare maggiore l’incidenza delle istituzioni che forniscono educazione formale mentre sono più rare le attività informali.
Queste ultime fanno riferimento per esempio ad attività come l’istruzione da autodidatti, da parte di membri della famiglia, amici o colleghi, oppure attraverso media come Internet, tv, o ancora tramite visite a centri come musei e biblioteche. Eurostat sottolinea che è importante misurare queste attività perché una parte sostanziale della formazione continua può avere luogo in ambiente molto vari e spesso al di fuori dei canali formativi consueti (e formali). Nonostante questo, anche le attività informali possono avere un ruolo nel promuovere diverse skill come la digital literacy, nonché ampliare le opportunità di apprendere in maniera innovativa e flessibile.
Come ricorda il ministero dal lavoro, “l’integrazione delle varie dimensioni dell’apprendimento in un unico sistema integrato è una delle priorità europee cui anche l’Italia sta lavorando. Si tratta di creare reti territoriali tra scuole, enti di formazione, università, centri territoriali per l’istruzione degli adulti, servizi per il lavoro, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, imprese e loro rappresentanze datoriali e sindacali e di definire norme generali e standard condivisi per validare le competenze e le conoscenze acquisite nei diversi contesti”. Un riferimento importante a livello europeo in questo ambito è rappresentato dall’EQF- European Qualification Framework – Quadro europeo delle qualifiche), uno schema di riferimento per tradurre le qualifiche e i livelli di apprendimento dei diversi paesi.
Gli Stati membri sono chiamati, su base volontaria, a ridefinire i propri sistemi di istruzione e formazione, in modo da collegare i sistemi nazionali di riferimento e l’EQF. Si applica a tutte le qualifiche, da quelle ottenute in un percorso di istruzione obbligatoria, ai livelli più alti di istruzione e formazione accademica, tecnica o professionale. Per quanto riguarda la costruzione del sistema, l’Italia si è dotata di un quadro di definizione condiviso sulla materia; degli standard minimi di riferimento per validare e certificare le competenze; del repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali; degli standard degli attestati e dei certificati spendibili a livello europeo; di un sistema di monitoraggio e valutazione
Parte delle variazioni nazionali osservate nei livelli di partecipazione alla formazione continua potrebbe essere spiegata anche da ragioni tecniche relative al modo in cui le indagini vengono condotte. Poiché alle persone viene chiesto se hanno partecipato alla formazione continua nell’ultimo mese, se per qualche ragione l’intervista è stata condotta durante un lungo lockdown le risposte avrebbero potuto risentirne. Soltanto con i prossimi aggiornamenti dei dati sapremo dire meglio se le fluttuazioni sono state temporanee oppure si tratta di effetti più duraturi nel tempo.
Per approfondire.
La grande onda, i sopravvissuti e il progetto di information design della pandemia in Italia
Come si misura la povertà educativa? Spoiler: non è mai solo una questione di dotazione tecnologica
Perché la crescita della popolazione laureata in Italia è più lenta che altrove?