Siamo un paese di poveri, ecco quanto si legge nell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate diffuso dal Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali.
L’analisi prende in esame i dati del Ministero delle finanze e dell’Agenzia delle Entrate sulle dichiarazioni dei redditi del 2019 ai fini IRPEF. Sulla base di queste informazioni è stato verificato che solo 31,161 su 41,525 milioni di contribuenti (in età per pagare le tasse) hanno presentato per il 2019 una dichiarazione dei redditi positiva. Detto altrimenti, la percentuale di chi “non ha redditi, vive a carico di qualcuno o si serve quasi esclusivamente dell’assistenzialismo statale” è considerata “atipica per un Paese del G20“.
Dati su cui riflettere anche in vista di quella che sarà la manovra di bilancio. Un cambio di rotta che, come preannunciato dal Governo, andrà a toccare proprio il taglio dell’Irpef.
Come stanno gli italiani?
Sul Palazzo della Civiltà, a Roma, bisognerebbe aggiornare l’imponente iscrizione che sovrasta il quartiere EUR. Sì, perché saremo pure un popolo di santi, di poeti, di navigatori, pieni di fantasia e amanti della Bellezza, ma ci siamo anche impoveriti – e bisogna capire perché.
Come si legge nel report dell’osservatorio, ci sono quattro faccende che saltano all’occhio dagli ultimi dati sulle entrate pubbliche: a) i dichiaranti che denunciano un reddito nullo o negativo nel 2019, sono aumentati di 197.730, per un totale di 951.223 rispetto a 753.493 del 2018 avvicinandosi ai livelli del 2017 (1.017.044), e ciò in un anno di crescita di PIL e occupazione; b) diminuiscono invece, anche se di poco (29.801 unità), quelli che dichiarano redditi fino a 7.500 euro lordi l’anno (una media di 312 euro lordi al mese considerando un reddito medio di 3.750 euro) perché probabilmente una parte di loro è finita nella classe di redditi zero o negativi; sono 9.098.369 e rappresentano il 21,91% del totale, rispetto ai 9.128.170 dell’anno precedente. c) Questi contribuenti con redditi fino a 7.500 euro pagano in media 31 euro di IRPEF l’anno (erano 32 nel 2018 e 36 nel 2017), risultando quindi totalmente a carico della collettività; d) considerando poi che ad ogni contribuente corrispondono 1,44 abitanti (persone a carico, anche se non sempre) a questi contribuenti corrispondono 14.476.073 abitanti (il 24,2%) che pagano un’IRPEF media pro capite di 22 euro l’anno, come nel 2018, mentre era di 24 euro nel 2017.
È poi da segnalare una “scomoda verità” che trapela nel report, in cui si dice (senza poi tanto parafrasare), che “non è vero, o almeno è vero solo per una piccola parte di contribuenti, che siamo un Paese oppresso dalle tasse e che va ridotta la pressione fiscale; quel che si dimentica di specificare è che a pagarle è il 42,94% della popolazione che ne versa oltre il 91%, mentre il restante 57% non solo ne paga assai poche ma è anche totalmente a carico della collettività a partire dalla spesa sanitaria”.
La situazione non è dunque (in tutto o in parte) riconducibile all’economia sommersa, ma ad un sistema di cose che inducono evidenti squilibri.
Un grafico per fare il punto complessivo
Per rendere le fattispecie appena citate più leggibili, lasciamo un grafico per inquadrare la situazione reddituale italiana in tutte le sue grandezze e categorizzazioni. I dati sono appunto quelli dell’osservatorio – e sono al netto del bonus Renzi.
Ora poniamoci una domanda: chi paga di più per i servizi resi alla collettività? Dal grafico si evince che la classe media di italiani che dichiara un reddito dai 35 mila fino ai 55 mila è in proporzione l’8,6% rispetto al totale dei contribuenti – solo 3,5 milioni di cittadini. Tuttavia, questo piccolo spaccato d’Italia, versa ben il 21,6% dell’Irpef complessivo. Segue come percentuale da evidenziare il 19,8% di versamenti reso dai contribuenti appartenenti alla fascia da 20 mila a 29 mila euro dichiarati. Questi, ad ogni modo, sono quasi il 22% di contribuenti complessivi. Sono invece molti meno (solo il 3,4%) gli italiani che versano IRPEF per lo scaglio da 55 a 100 mila. A questi sono riferibili il 17,6% di tasse a sostegno dei servizi resi alla comunità.
Numeri che suscitano legittime perplessità e che fanno luce su un sistema contributivo forse poco equilibrato nei suoi elementi.