Fra il 2019 e il 2020 il suolo consumato in Italia è aumentato di 56,7 chilometri quadrati, dice l’ultimo rapporto del Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente (SNPA), ovvero un equivalente di circa oltre venti campi di calcio al giorno. L’incremento resta in linea con quanto è avvenuto negli ultimi anni, dove secondo il rapporto ci sono stati “modesti segnali di rallentamento”.
Il fenomeno opposto, ovvero il ripristino di aree naturali, è stato invece pari a 5 chilometri quadrati, e ha riguardato il passaggio da suolo consumato a suolo non consumato di solito attraverso il recupero di cantieri o altre aree classificate come “consumo di suolo reversibile”. La somma di queste due tendenze opposte ha quindi portato a un consumo di suolo netto di 51,7 chilometri quadrati.
La velocità del consumo di suolo netto, sottolinea il rapporto, si mantiene in linea con quelle degli ultimi anni, con un valore di 14 ettari al giorno, ed è ancora molto lontana dagli obiettivi comunitari che dovrebbero portare il consumo netto a zero entro il 2050. Autori e autrici ricordano che si continua a incrementare il livello di artificializzazione e di impermeabilizzazione del territorio, causando la perdita spesso irreversibile, di aree naturali e agricole. Tali superfici sono state sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio e da altre aree a copertura artificiale all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti.
Le ultime stime parlano di un consumo di suolo passato dal 6,76% del 2006 al 7,11% del 2020, ma questo dato comprende l’intero territorio nazionale e dunque anche quelle aree su cui non è fisicamente possibile edificare. Se consideriamo solo il “suolo utile”, ovvero escludendo aree a elevata pendenza, fiumi, laghi, riserve naturali e zone a rischio idrogeologico, la percentuale di suolo consumato sale al 9,15%. La velocità di crescita del consumo di suolo netto è rimasta grosso modo stabile dal 2015 in avanti, e ha rallentato rispetto al periodo 2006-2012.
Andando per intuito potremmo pensare che il suolo usato cresce con la popolazione: più persone portano a più case, edifici, palazzi e costruzioni. Eppure il rapporto sottolinea un aspetto controintuitivo, e cioè che “il legame tra la demografia e i processi di urbanizzazione e di infrastrutturazione non è diretto e si assiste a una crescita delle superfici artificiali anche in presenza di stabilizzazione, in molti casi di decrescita, dei residenti”. Per esempio nel 2020 il nuovo consumo di suolo netto di 51,7 chilometri quadrati è avvenuto nonostante un calo della popolazione italiana di 175mila abitanti.
La misura da tenere sott’occhio per rappresentare l’efficienza delle trasformazioni è “il consumo marginale di suolo, indicatore dato dal rapporto tra il consumo di suolo netto e i nuovi residenti tra un anno e il successivo. A valori positivi elevati di questo indicatore corrisponde un alto e più insostenibile consumo di suolo a fronte di una crescita non significativa della popolazione, mentre valori negativi indicano un aumento del consumo di suolo in presenza di decrescita della popolazione, ovvero in assenza dei meccanismi di domanda che generalmente giustificano la richiesta di consumare suolo”. Nel 2020 per ogni abitante in meno si sono consumati comunque 292 metri quadri di territorio, comunque in miglioramento rispetto al 2019 quando erano stati 486.
Uno degli obbiettivi di sviluppo sostenibile riguarda appunto il rapporto fra consumo di suolo e movimento demografico, e prescrive che il primo non debba superare il secondo.
02 I dati del consumo di suolo arrivano da una rilevazione capillare via satellite, che produce una cartografia del territorio in quadrati di dieci metri di lato. Attraverso una serie di elaborazioni e validazioni dei dati il suolo viene poi classificato in consumato o non consumato. Il primo può essere permanente, quando comprende strutture come edifici, strade pavimentate, stazioni, aeroporti, serre o discariche, oppure reversibile quando invece riguarda strade non pavimentate cantieri o aree in terra battuta, impianti fotovoltaici, cave in falda, aree estrattive non rinaturalizzate o comunque coperture che possono essere rimosse ripristinando le condizioni iniziali del suolo. Anche all’interno del suolo consumato in maniera reversibile compaiono situazioni molto diverse fra loro, e talvolta il tempo di recupero può essere molto lungo.
Forse non siamo abituati a considerarlo tale, ma il rapporto sottolinea che “visti i tempi estremamente lunghi di formazione del suolo, si può ritenere che esso sia una risorsa limitata sostanzialmente non rinnovabile”. D’altra parte, si legge ancora, il suolo fornisce cibo, biomassa e materie prime; è la piattaforma per lo svolgimento delle attività umane; rappresenta un elemento centrale del paesaggio e del patrimonio culturale e svolge un ruolo fondamentale come habitat e pool genico. Nel suolo vengono stoccate, filtrate e trasformate molte sostanze, tra le quali l’acqua, gli elementi nutritivi e il carbonio. Per l’importanza che rivestono sotto il profilo socioeconomico e ambientale, anche queste funzioni devono essere tutelate.
Per approfondire.
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