Alla vigilia dell’emergere nella cronaca, della variante Omicron, su Frontiers in Immunology è stato pubblicato un lavoro scientifico interessante. Una ampissima revisione della letteratura medica pubblicata nell’ultimo anno e mezzo dal titolo I meccanismi di COVID-19 nel corpo umano: che cosa sappiamo fino a ora.
Abbiamo imparato in pochissimo tempo che la serratura del nostro corpo che permette a SARS-CoV2 di entrare nelle cellule è la proteina ACE2, che si lega alla proteina spike presente sulla superficie del coronavirus. Negli organi/tessuti dove è presente ACE2 in gran quantità, può entrare il virus. Quello che accade dopo che è entrato dipende da fattori genetici ed epigenetici che stiamo cercando di capire. Comprendere i meccanismi alla base della malattia, non dell’infezione, è la sfida attuale, ed è estremamente complessa. Richiede esperimenti basati su colture cellulari, organoidi tissutali umani e modelli animali, mirati a vari aspetti della malattia e a specifiche proprietà virali. Come se dovessimo affrontare un esame completo su tutti gli aspetti della medicina.
Se il funzionamento di SARS-CoV2 è relativamente “semplice” da studiare e capire in laboratorio (e infatti abbiamo compresi subito il ruolo di Spike ed ACE2), studiare la malattia richiede tanto tempo, anche solo banalmente per monitorare un paziente almeno a breve termine. I tempi della scienza seria più sono lunghi dei tempi di cui ha bisogno l’uomo per fare economia.
Inoltre, dobbiamo tenere a mente il mantra della medicina: un’ipotesi è corroborata – fino a solida prova contraria – statisticamente. Chi studia le Scienze della Vita non è un Mago, la sua saggezza non si esprime (e non si esprimerà ancora per molto tempo) nell’aver compreso tutti i misteri che cerca di sondare, ma nel mettere delle solide pietre a terra su cui l’umanità possa camminare. Il metodo è statistico: le ipotesi emergono da ciò che accade nella maggioranza dei casi testati, e le eccezioni sono ciò che ci fa capire che non abbiamo ancora capito tutto.
Come reagisce il sistema immunitario?
Iniziamo quindi con la questione chiave che ci pone COVID-19, che è la domanda di fondo della medicina: perché alcuni si ammalano in modo grave, talvolta letale? Le ipotesi oggi sono piuttosto consolidate. I dettagli dei meccanismi immunologici sono molto complessi da comprendere per un non addetto ai lavori, e dobbiamo prendere atto che vi è una soglia di semplificazione oltre la quale togliamo informazioni importanti per una visione completa. Possiamo almeno dire che sono stati osservati inSARS-CoV-2 dei meccanismi già noti per MERS e SARS-CoV1, che però al loro interno hanno aspetti peculiari del nuovo virus, che ci permettono di fare delle ipotesi.
Per esempio, che similmente ad altre infezioni virali, un ruolo fondamentale nello sviluppo delle forme gravi di malattia lo svolgono delle proteine chiamate citochine. Una forma peculiare di stato iperinfiammatorio sistemico, caratterizzata da livelli molto elevati di citochine proinfiammatorie, nota come “tempesta di citochine” è infatti comunemente osservata nei pazienti con COVID-19 grave. La tempesta citochinica indotta da SARS-CoV-2 è diversa rispetto ad altri virus respiratori, poiché SARS-CoV-2 indurrebbe una risposta immunitaria ritardata che faciliterebbe l’ingresso del virus nell’epitelio polmonare, e ciò a sua volta porterebbe a un’intensa risposta infiammatoria causata dal reclutamento incrementale dell’ampio repertorio di cellule immunitarie innate. La linfocitopenia, cioè una scarsità di linfociti T (cellule immunitarie) è correlata alla gravità dei sintomi e un numero molto basso di cellule T predice risultati negativi per i pazienti.
Le ragioni molecolari per l’uccisione delle cellule T in COVID-19 sono tuttavia ancora poco comprese, scrivono gli autori.
Che fare dunque? “Insieme alla riduzione della replicazione virale per mezzo di farmaci antivirali (ne stanno arrivando sul mercato), la gestione della risposta immunitaria innata utilizzando immunomodulatori, citochine antinfiammatorie e citochine pro-infiammatorie/o anticorpi mirati al percorso diventa un’importante strategia terapeutica nel COVID-19.
Perché anche persone sane possono presentare sintomi gravi?
Altra domanda epocale, non solo di COVID-19, ma della medicina. Quante sono le persone “sane”, cioè senza malattie croniche, che sviluppano improvvisamente una malattia grave. Questo perché alcune persone hanno una predisposizione genetica o immunofenotipica per lo sviluppo di malattie gravi, anche se questi meccanismi sono ancora poco compresi. Pigrizia dei ricercatori? Incapacità? Prima di cadere in commenti grossolani, poniamo mente al fatto che grossa parte della scienza medica, sia la ricerca sul cancro che nell’ambito delle malattie rare, è ricerca genetica, per capire quali sedi di DNA e quali geni sono mutati. Studiare una malattia genetica rara richiede anni anche solo per capire quale parte del nostro DNA ha delle variazioni correlate con un esito patologico. Capire in pochi mesi come un nuovo virus interagisce con un sistema complesso come il DNA umano (a sua volta “agito” da aspetti epigenetici) è – di nuovo – scienza a lungo termine. Ciò non significa che la ricerca farmacologica non proceda, per risolvere il problema urgente dei sintomi gravi. Ma dobbiamo essere consapevoli che il metodo più efficace che abbiamo, il metodo scientifico, non è Magia.
Al momento, da alcuni studi emerge che una mutazione del recettore toll-like-7 (TLR-7), un sensore virale (incluso per i coronavirus) sulle cellule ospiti, è associata a COVID-19 grave Un altro studio ha riportato che almeno il 3,5% dei pazienti con polmonite COVID-19 pericolosa per la vita aveva mutazioni note per i geni della risposta immunitaria. Sono state trovate in particolare due regioni genomiche particolarmente associate a COVID-19 grave: una regione sul cromosoma 3 contenente sei geni e un’altra regione sul cromosoma 9. Non c’è invece evidenza condivisa dagli studi sul ruolo del gruppo sanguigno nella “predisposizione” all’infezione.
Nella prossima puntata racconteremo ciò che sappiamo oggi sul Long Covid.