A poca distanza dalla Cop26, conferenza sul clima delle Nazioni Unite a cui si deve la podestà del Glasgow Climate Pact – un elenco di azioni condivise per fermare la climate change –, l’Istat diffonde l’aggiornamento sugli indici meteoclimatici relativi all’ultimo decennio.
Secondo quanto si può appurare dalla serie storica (2010-2020), la temperatura media annua delle città capoluogo è pari a 16,3°, aumentando di +0,3° rispetto al valore medio del decennio precedente (2006-2015). Mentre, riferendosi ai capoluoghi di regione per i quali è disponibile la serie storica 1971-2000, la temperatura media del 2020 (+15,8°C) registra un’anomalia media di +1,2°C – poco al di sotto della soglia-obiettivo dell’1,5°.
Non ci sono buone notizie neppure per le precipitazioni totali annue che si portano a 661 mm, con una diminuzione media di -132 mm rispetto al decennio precedente. Le punte di diminuzione sono per le città del Sud: Napoli (-423,5 mm), Catanzaro (-416 mm) e Catania (-359,7 mm).
Ma quindi, com’è il climate change in Italia? Analizziamo i dati Istat servendoci di alcuni grafici.
Quella sottile linea rossa, la guerra calda del Mezzogiorno
Guardando alle condizioni in cui versa il Mezzogiorno, secondo i dati meteoclimatici esposti dall’istituto di statistica, si potrebbe pensare ad una guerra calda senza precedenti storici – e tendenzialmente in peggioramento. Sì, perché superata una certa, benché sottile, linea rossa nel centro Italia, i dati sembrano capovolgersi e mutare in condizioni di lotta al calore.
Come si può notare nel grafico, le città più calde che hanno sopportato una temperatura media annua molto alta negli ultimi dieci anni, sono Catania, Messina e Reggio Calabria. Sulla loro scia seguono le città isolane di Palermo e Cagliari. Unica eccezione per il centro dello stivale è data da Roma, al sesto posto.
Tuttavia, benché il primato sulle temperature medie annue più alte spetterebbe indiscutibilmente alle città del Sud, non si può dire la stessa cosa in termini di peggioramento delle condizioni climatiche. In questo caso le anomalie di temperatura media rispetto al decennio precedente sono positive per tutte le città, determinate da rialzi della temperatura sia minima che massima. Le più alte si rilevano a Perugia (+2,1°C), Roma (+2°C), Milano
(+1,9°C), Bologna (+1,8°C) e Torino (+1,7°C).
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Come quando fuori piove (poco)
In termini di precipitazioni non si può dire la stessa cosa. Il Sud è sotto l’ombrello per meno tempo rispetto al Nord. Anzi, bisognerebbe dire esageratamente meno.
A Catania, ad esempio, si sono registrate -359,7 mm di precipitazioni rispetto al decennio precedente. Anche se in questo caso è Napoli a registrare il calo più accentuato, con -423,5 mm di pioggia in meno.
Del resto, non si può dire meglio per le altre ventidue città oggetto di osservazione dell’istituto. Si è infatti registrata una diminuzione in media di -132 mm sul corrispondente valore medio del decennio 2006-2015 nei vari capoluoghi.
Questa diminuzione delle precipitazioni, unita all’innalzamento delle temperature, può innescare differenti fattispecie – tutte negative. Si pensi alle condizioni di siccità che attanagliano il Mezzogiorno e alla gola secca dei campi da coltivare che riduce la produttività di vari settori, in primis il comparto agricolo. Questo dovrebbe rintracciare nuove fonti d’acqua artificiosamente, aumentando i costi di produzione e, successivamente, i costi di vendita dei propri prodotti – a svantaggio dei consumatori finali.
Un ciclo che dunque ha nella sua meccanica una sistema di eventi indissolubilmente intrecciato alla natura. Con l’auspicio che la valvola sia aggiustabile con la giustizia ambientale dichiarata nella conferenza di Glasgow. E che il mondo ritorni al suo equilibrio naturale, come quando fuori piove il giusto.
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