Perché alcune persone decidono di non vaccinarsi? Di questi tempi non è neppure necessario spiegare perché si tratta di una domanda importante, ma allo stesso tempo la risposta è tutto tranne che ovvia.
Per quanto sia ormai fuori di dubbio che i vaccini contro il Covid-19 siano stati molto efficaci nel prevenire le forme più gravi o la morte causata dal virus, ci sono ancora milioni di italiani e italiane che hanno scelto di non farli. Tantissimi studi e ormai milioni di somministrazioni hanno mostrato che i danni provocati dal Covid-19 sono molto maggiori degli effetti collaterali del vaccino, ma non è bastato. E questo nonostante enormi pressioni sociali, politiche e – con l’adozione del green pass – economiche.
Questo è il primo di una serie di articoli che intende esplorare gli ultimi dati relativi al fenomeno dell’esitazione vaccinale, per dare un contributo che sicuramente non può essere una risposta definitiva ma almeno mostrare quali sono i contorni del problema: cosa sappiamo e cosa non sappiamo. Che in effetti ci sono alcune cose che diamo per scontate, ma non hanno invece base nelle evidenze scientifiche.
Uno dei modi per studiare l’esitazione vaccinale, come del resto tanti altri fenomeni, consiste nel verificare se esistono correlazioni fra indicatori diversi. Se per esempio ipotizziamo che la speranza di vita sia legata al tenore di vita delle persone (misurato dal loro reddito), accostando queste due variabili dovremmo trovare che al crescere dell’una aumenta anche l’altro, come in effetti tende a succedere.
In questi articoli metteremo in correlazione i valori dell’esitazione vaccinale, prendendo a riferimento il numero di persone che ha ricevuto almeno una dose al 13 dicembre 2021, con altre variabili come il livello di istruzione, il reddito, l’occupazione e così via, cercando di capire se fra esse c’è un qualche legame. Nell’interpretare i risultati è però fondamentale ricordare due cose.
La prima è che la qualità di quello che viene fuori non può che dipendere dalla qualità dei dati usati per l’analisi. E in questo caso esistono enormi limitazioni, derivate dal fatto che i numeri delle vaccinazioni sono disponibili al massimo al dettaglio regionale. Il che rende i risultati per forza di cose grossolani, problema che si potrebbe risolvere facilmente con una maggiore trasparenza e per esempio rendendo note le vaccinazioni a livello comunale. I dati naturalmente esistono già, e come ha fatto l’Istat per i numeri dei decessi se adeguatamente adattati potrebbero essere resi pubblici senza problemi per la privacy. Purtroppo però al momento non è così.
La seconda questione è più generale, e riguarda proprio il metodo e il senso di fare un’operazione di questo tipo. Anche trovare una correlazione fra due elementi non significa per forza che uno sia la causa dell’altro. Può essere una coincidenza: negli ultimi decenni è cresciuto sia il livello di anidride carbonica nell’atmosfera che l’obesità, ma non è che uno sia la causa dell’altro. Può anche essere che entrambi siano in realtà legati da una terza causa che non stiamo guardando, e il loro legame diretto è solo apparente.
Anche quando troviamo un legame e lo riteniamo significativo, infine, non dobbiamo per forza ragionare per assoluti ma in termini di sfumature e di probabilità. Possiamo dire che il fattore “x” potrebbe avere un certo effetto sul comportamento “y”, ma sarebbe quasi sempre un errore pensare che tutto “y” dipenda da “x”. L’obesità è uno dei fattori di rischio del diabete, ma non tutte le persone obese sono diabetiche. Soltanto in rari casi i fenomeni sociali hanno una singola causa, semplice, immediata e totale.
Detto questo, che vale per tutte le correlazioni che vedremo in questo e nei prossimi articoli, possiamo passare ad analizzare uno degli elementi che a prima vista sembrerebbe più ovvio, ovvero il legame fra esitazione vaccinale e livello di istruzione. Intuitivamente potremmo pensare che le persone che hanno studiato di più sono quelle più propense a credere alle evidenze scientifiche e a fidarsi della scienza e degli scienziati, ma è davvero così?
In Italia alcune regioni in cui le persone si sono vaccinate più spesso sono in effetti anche quelle dove c’è la maggiore percentuale di laureati e laureate, ma si tratta di un legame piuttosto debole. Una qualche lieve correlazione esiste, ma essa sembra spiegare soltanto una piccola parte della variabilità delle vaccinazioni. Per esempio il Lazio è la regione con il maggior livello generale di istruzione del paese, e anche fra le prime per tasso di vaccinazione. D’altra parte diverse regioni del sud fanno molto meglio di quanto il numero di laureati suggerirebbe.
E come spiegare la differenza fra Puglia e Sicilia, entrambe regioni del meridione con un numero simile di titolati ma dove la differenza nel tasso di vaccinazione è di ben sei punti percentuali? Queste analisi suggeriscono che dove si è studiato di più dovrebbe esserci un certo (modesto) aumento nelle vaccinazioni, ma senza dubbio in gioco ci sono anche altri fattori.
Un’altra analisi recente che ha guardato al rapporto fra epidemia e istruzione è stato l’ultimo rapporto Censis, che invece ha insistito molto su questo aspetto trovando importanti differenze nella percezione del fenomeno fra laureati o persone che hanno studiato fino alla licenza media. Tuttavia il rapporto non fornisce spiegazioni metodologiche su come è stato realizzato, come per esempio la dimensione del campione intervistato e così via, per cui non è possibile valutare quanto i suoi risultati siano affidabili.