Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica è un appuntamento fisso per moltissimi italiani durante la sera di Capodanno.
Dal 1949 ad oggi tutti i presidenti della Repubblica Italiani, ad eccezione di Enrico De Nicola, si sono infatti avvicendati in questa tradizione. Il discorso agli italiani della notte di San Silvestro rappresenta per il Quirinale un momento di riflessione e di bilancio sull’anno passato, ripercorrendo fatti ed episodi salienti, conditi alle volte da commenti e riferimenti, diretti o meno, alle forze politiche.
Ogni Presidente ha portato il suo stile e peculiarità nel discorso di fine anno: attraverso l’analisi del corpus testuale di tutti i messaggi possiamo andare a raccogliere dati e particolarità di questa forma di comunicazione istituzionale, analizzando nel dettaglio le differenze tra i periodi storici e i vari Presidenti.
Partiamo da un dato fondamentale: quello della lunghezza. Se i primi presidenti della Repubblica si limitavano a messaggi di fine anno molto brevi, la lunghezza dei discorsi è cresciuta progressivamente nel corso degli anni raggiungendo il suo massimo tra gli anni 80 e 2000, per poi declinare, fatta salva la parentesi di Giorgio Napolitano.
I primi messaggi di fine anno del Presidente Luigi Einaudi sono i più brevi in assoluto, con il più corto in assoluto rappresentato dal secondo, di sole 148 parole.
I discorsi dei presidenti Gronchi, Segni, Saragat e Leone sono caratterizzati da una lunghezza sotto la media, ad eccezione del discorso del 1970 di Giuseppe Saragat, dove compaiono riferimenti alle lotte sindacali dell’Autunno Caldo e agli episodi di violenza che iniziavano a imperversare nel territorio italiano.
La presidenza di Sandro Pertini è stata la prima a vedere un aumento nella lunghezza media nei discorsi, superando le 2000 parole nel discorso del 1979, dove vengono fatti cenni alla preoccupazione per gli atti terroristici degli Anni di Piombo. Dalla presidenza Pertini fino alla fine della presidenza di Oscar Luigi Scalfaro vi sono buona parte dei messaggi di fine anno più corposi. Il podio è occupato interamente proprio dal presidente Scalfaro: suo il discorso più lungo, con 4905 parole, assieme al secondo (4181 parole) e il terzo (3870 parole).
La lunghezza dei messaggi del presidente Scalfaro è doppia rispetto a quella media. Al secondo posto troviamo Giorgio Napolitano, vicino nella prolissità ai politici della Prima Repubblica, seguito da Sandro Pertini. La presidenza di Sergio Mattarella si distingue, tra quelle moderne, per un ritorno a un messaggio istituzionale più succinto. Una curiosità: la media della lunghezza dei discorsi di Francesco Cossiga si abbassa inevitabilmente per via del discorso del 1991, pronunciato due mesi dopo la messa in stato di accusa di Cossiga, caratterizzato da una lunghezza di sole 418 parole e dalla famosa frase “mi sembra meglio tacere”.
Un altro dato fondamentale da considerare è quello della leggibilità di un discorso: il messaggio del Presidente della Repubblica è rivolto a tutti gli italiani, ed una forma semplice e diretta aiuterebbe nella comprensione.
Possiamo capire come i discorsi si collocano in una scala di leggibilità attraverso l’Indice Gulpease: l’indice Gulpease è un indice di leggibilità di un testo in lingua italiana che tiene conto di due dimensione testuali: la lunghezza della parola e la lunghezza della frase rispetto al numero delle lettere totali del testo. Più l’indice di Gulpease è alto, più il testo risulta leggibile, viceversa a un basso punteggio corrisponde una scarsa leggibilità.
Prendendo in considerazione tutti i messaggi di fine anno possiamo vedere come l’indice di leggibilità cresca nel corso del tempo, soprattutto con i discorsi di Sandro Pertini, non a caso considerato il “presidente degli italiani” e apprezzato per il suo linguaggio schietto e diretto. Tuttavia la leggibilità dei discorsi vede un calo drastico con l’inizio della presidenza Cossiga, per poi risalire nei discorsi di Oscar Luigi Scalfaro e scendere di nuovo con l’avvento di Napolitano.
Un dato interessante è rappresentato dal picco massimo di leggibilità: il discorso del 1997 di Scalfaro. Questo infatti è l’unico messaggio di fine anno con un punteggio superiore al 60, il valore per cui un testo è considerato facilmente comprensibile per chi ha una licenza di istruzione media. Sotto il 60 il testo risulta più difficile, mentre sotto il 40 risulta difficile anche per chi ha un diploma di scuola superiore.
Nel 1959 il Presidente Giovanni Gronchi ha letto alla nazione il discorso dall’indice di leggibilità più basso della storia della Repubblica: 36,85. Secondo i dati del censimento generale dell’Istat nel 1961 solo il 4,3% della popolazione italiana (pari 1,9 milioni di persone) aveva conseguito il diploma. Nello stesso anno quasi 16 milioni di italiani risultavano alfabetizzati, ma privi di titoli di studio (pari al 34,2% della popolazione), e quasi un decimo della popolazione era ancora analfabeta. È facile immaginare come in quel periodo il messaggio di fine anno fosse comprensibile a una platea molto ristretta di persone.
Il presidente Mattarella ha un indice medio di leggibilità pari a 51,96, più alto della media ma che risulta ancora difficile per una larga fetta della popolazione, contando che secondo gli ultimi dati Istat nel 2020 oltre 16,7 milioni di italiani avevano conseguito solamente la licenza media. Da questo punto di vista Scalfaro, Ciampi e Pertini sono i presidenti con la media più alta di leggibilità tra i loro discorsi, mentre Saragat, Gronchi e Segni presentano l’indice più basso.
Un altro indicatore importante da considerare è quello delle parole più frequenti: attraverso la loro scelta ed evoluzione possiamo capire gli come cambiano le tematiche e gli argomenti affrontati durante il discorso, anche in prospettiva storica.
Nell’analisi abbiamo deciso di fare un confronto tra i messaggi di fine anno nel periodo della Prima Repubblica (dal 1948 al 1994) e della Seconda Repubblica (dal 1995 al 2020).
Nel grafico sono riportate le parole più utilizzate nei vari periodi: in alto a destra possiamo vedere parole come “pace” “paese” “giovani” siano ricorrenti in entrambi i periodi, mentre analizzando altre dimensioni possiamo trovare delle specificità.
Schiacciate ull’asse delle ascisse vediamo le parole più frequenti nella Prima Repubblica e meno nella Seconda: i Presidenti della Repubblica di quel periodo tendevano a definire gli italiani come “popolo”, si parlava molto di più di concetti come “libertà”, “terrorismo”, “problemi”, “sviluppo”, “democrazia”, “guerra”.
A ridosso dell’asse delle ordinate possiamo invece trovare i temi più “caldi” durante la Seconda Repubblica: “politica”, “istituzioni”, “fiducia”, “parlamento”, “crisi”, “governo”, “futuro”. Curiosamente la parola “grazie” sembra appannaggio esclusivo della Seconda Repubblica!
Un ulteriore livello di analisi è quello dei bigrammi, ossia le coppie di parole utilizzate per ogni presidente. Se la coppia di parole più usate nei discorsi di Ciampi è stata “Unione Europea”, per Leone troviamo termini come “forze dell’ordine” e “ordine pubblico” a riprova degli episodi di terrorismo avvenuti nel suo settennato. Nei discorsi di Napolitano compaiono in cima alla lista delle parole più utilizzate le coppie “debito pubblico” e “crisi finanziaria”, mentre nei discorsi di Cossiga compare al secondo posto la coppia “criminalità organizzata”
Data Analysis ospita interventi di ricercatori e docenti universitari e analisi di data journalist ed esperti su working paper, articoli scientifici e studi che parlano in modo più o meno diretto alla società e alle politiche data-driven.
Autori: Daminao Bacci e Filippo Bonora
Damiano Bacci lavora come data journalist per l’agenzia di comunicazione Dalk di Milano. Quando non si occupa di analisi e dati, di solito studia Python e le lingue straniere, oppure guarda l’NBA.
Filippo Bonora lavora come freelance e si occupa di Natural Language Processing e data science.