Li possiamo definire “oceani senza ossigeno”. Occupano soltanto l’1% del volume totale dei mari e sono una fonte di protossido di azoto, un potente gas serra. Possono esistere a profondità oceaniche comprese tra circa 35 e 1.000 metri sotto la superficie. Un team di ricercatori del Mit hanno elaborato un nuovo metodo per elaborare oltre 40 anni di dati oceanici, in tutto quasi 15 milioni di misurazioni effettuate da spedizioni di ricerca e robot autonomi. Lo studio del team è stato pubblicato sulla rivista Global Biogeochemical Cycles. L’obiettivo è quello di mappare quelle che tecnicamente sono definite Odz (oxygen deficient zone) con un dettaglio senza precedenti. Che vuole dire misurare il volume, l’estensione e le profondità variabili di ciascuna Odz.
Negli ultimi cinquant’anni per effetto del riscaldamento globale gli oceani hanno perso ben il 2% dell’ossigeno. Gli oceani perdono ossigeno man mano che il clima si riscalda. L’analisi dei ricercatori del Mit vuole mappare le aree morte attraverso una fotografia in tre dimensione. Il progetto ha cominciato a prendere in esame zone dell’oceano Pacifico le regioni tropicali del Pacifico al largo del sud America e dell’america centrale e di quella centrale. La prima misura 600mila km3, qualcosa come 240 miliardi di piscine olimpioniche piene d’acqua anossica. La seconda è 3 volte più grande.
Questa è l’ottava puntata dedicata alla biodiversità.
Gli indicatori per misurare l’allarme globale sulla biodiversità
A rischio estinzione un milione di specie animali. Come scompare la biodiversità pixel dopo pixel
Biodiversità, mancati tutti gli obiettivi. ll Living Planet Index spiegato bene
Biodiversità, ancora cattive notizie: il 40% delle piante è a rischio estinzione
Squali e razze a rischio di estinzione
Cala ancora nell’Ue la popolazione di uccelli nei terreni agricoli