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economia

Il crollo delle nascite, i flussi e le città. Cosa è successo negli ultimi due anni?

L’istituto nazionale di statistica (Istat) ha messo a disposizione dati demografici su tutte le città italiane, mese per mese, che possono essere utilissimi per capire quali sono stati gli effetti dell’epidemia di COVID-19 sulla popolazione italiana.

In estrema sintesi il numero di persone che vive una città varia in base a due grandi flussi: quello di chi arriva (o nasce), e quello di chi va via (o muore). L’epidemia ha avuto conseguenze significative su entrambi, anche se in modi diversi.

Guardando intanto al primo, troviamo per esempio che a Milano nel periodo precedente e “normale” si trasferivano circa 4-5mila persone al mese, con un picco a ottobre 2019 quando erano state quasi 6mila. Di questi grosso modo tre quarti arrivano da altri comuni italiani, il restante dell’estero. I bambini e le bambine nate, d’altra parte, erano quasi sempre fra gli 800 e i 900 al mese.

La normalità si interrompe bruscamente a marzo 2020, con la prima ondata, quando prima pezzi e poi l’intera Italia finisce in zona rossa. I trasferimenti si riducono moltissimo, sia dagli altri comuni che dall’estero, fino ad arrivare al picco negativo di aprile 2020 quando arrivano in città poco più di mille nuovi abitanti. Con le riaperture della primavera 2020 i numeri tornano a crescere, ma senza ancora tornare ai valori precedenti e stabilizzandosi su una soglia più bassa sia durante l’estate che nell’anno nuovo. Un altro importante calo, per quanto non ai livelli del lockdown nazionale, si vede poi anche durante l’estate 2021, e in particolare a luglio e agosto.

Troviamo anche un effetto sulle nascite, ma per vederlo ovviamente dobbiamo saltare a nove mesi dopo, durante la seconda ondata cominciata nell’inverno 2020. Da novembre in avanti anche le nascite subiscono un calo con un minimo di 719 a fine anno, per poi risalire leggermente ma restare comunque per diversi mesi su valori sotto la normalità. Soltanto a ottobre 2021 i nati tornano per la prima sopra i 900, cosa che non succedeva da un anno.

Qualcosa di simile è successo anche in altre grandi città italiane come Roma o Napoli, ma gli effetti sono stati diversi nelle varie località. Nella visualizzazione che segue è possibile cercare il proprio comune e vedere come sono andate le cose.

 

 

Tutti i flussi sono calati nello stesso verso, ovvero con un calo della popolazione. Gli effetti sull’immigrazione si sono visti già a livello nazionale. Secondo l’ultimo comunicato Istat “nel 2020 sono stati rilasciati in Italia circa 106.500 nuovi permessi di soggiorno a cittadini non comunitari, il numero più basso degli ultimi 10 anni. In calo soprattutto i nuovi permessi concessi per studio (-58,1% rispetto all’anno precedente) e i permessi per asilo (-51%)”.

 

Già tra il 2018 e il 2019, ricorda l’istituto, era stata rilevata una netta diminuzione (-26,8%) dei nuovi permessi emessi, ma la limitazione degli spostamenti dovuta alla pandemia da Covid-19 ha comportato una ulteriore sensibile diminuzione; a questo si deve aggiungere che la pandemia ha comportato anche un ritardo nella lavorazione delle pratiche che potrebbe aver contribuito al basso numero di permessi concessi. Nella seconda metà del 2020, infatti, il Ministero dell’Interno ha registrato un aumento notevole degli sbarchi sulle coste italiane che solo in parte si è tradotto in una crescita dei permessi di soggiorno rilasciati, probabilmente per il ritardo nel disbrigo delle pratiche.

Anche l’esame delle richieste di regolarizzazione avanzate in base all’articolo 103 del D.l. 34/2020 è risultato più lento rispetto a quanto avvenuto per le precedenti regolarizzazioni (pochissimi i casi esaminati entro il dicembre 2020) e verosimilmente saranno i flussi del 2021 a risentire del procedimento di regolarizzazione.

Anche i permessi di studio sono crollati, scesi del 58% rispetto all’anno precedente. “I nuovi permessi per studio concessi agli statunitensi sono stati meno di 200 contro gli oltre 2.000 del 2019, con un calo superiore al 90%”.

Nel 2020 sempre secondo Istat i nuovi nati sono stati 15mila in meno rispetto al 2019. Si tratta di un calo certamente accentuato dalla pandemia, ma non causato interamente da esso e anzi un fenomeno di lungo periodo. “Il calo forte della natalità avvenuto fra il 1976 e il 1995”, ricorda l’istituto, “ha fatto sì che mancassero all’appello negli anni successivi anche le madri potenziali: donne, ad esempio, che nel 2020 avrebbero fra i 25 e i 44 anni”.

Poi la pandemia ha fatto il suo, continua ancora Istat nel documento di presentazione della XIV conferenza nazionale di statistica: infatti, se nei primi dieci mesi dell’anno il calo dei nati si è mantenuto nella media del -2,5% (in linea con l’andamento del periodo 2009-2019) a novembre e dicembre è schizzato rispettivamente a -8,3% e -10,7%. Dal momento che fra concepimento e nascita passano nove mesi, è facile far risalire i mancati concepimenti al primo dilagare del Covid-19. E a testimonianza della relazione c’è anche il calo ancora più marcato (-15,4%) delle nascite di dicembre nel nord-ovest, il territorio più duramente colpito dalla prima ondata.

 

Il 2021 non promette nulla di diverso, conclude Istat, “visto che i dati provvisori relativi al periodo gennaio-settembre ci segnalano già 12mila e 500 nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2020”.