Il Cremlino ha trascinato la Russia in uno scontro militare, politico ed economico, che segna una cesura storica rispetto ai suoi rapporti con l’Occidente e minaccia duramente la stabilità e lo sviluppo futuri della sua economia. E, nonostante le evidenti incertezze di quella che la propaganda moscovita definisce «azione militare speciale», già costata numerose vite umane non solo tra i civili ucraini, ma anche nelle fila dell’esercito russo, l’appoggio popolare al Cremlino si è consolidato, come rivelano gli ultimi dati prodotti dall’istituto demoscopico indipendente Levada-Center. Il sostegno a Putin ha, infatti, raggiunto la ragguardevole soglia dell’83%. Si stima che il 53% dei russi esprima un «deciso» appoggio alla guerra e che il 43% di loro creda che le operazioni militari siano necessarie a «proteggere i russi delle repubbliche autonome». Per il 25% la guerra in Ucraina risponde a esigenze di difesa; per il 21% l’invasione russa «combatte il nazionalismo». È l’esito della propaganda, si dirà, e della repressione di un dissenso che pure serpeggia nell’opinione pubblica russa. Ma secondo Alexey Levinson, direttore del dipartimento socio-culturale del Levada Center, ciò non basta a spiegare una così larga adesione alla politica del Cremlino, poiché, come dichiarato in una recente intervista al Corriere della Sera, «quando ci sono pressioni governative sulle opinioni, come oggi in Russia, aumentano le risposte “non sa, non risponde”, che significa in genere “risponderei ma ho paura”. In questo caso no. Molte persone sembrano aver aderito convintamente alla versione diffusa dalla propaganda e rispondono orgogliose a favore della “operazione militare”». Non solo. Esistono leggi che impediscono ai media di diffondere immagini come quelle di Bucha, e tuttavia, anche se i cittadini russi avessero consapevolezza dello scempio commesso dal loro esercito in Ucraina, «penserebbero che la Russia ha ragione di comportarsi così», sostiene Levinson.
Si tratta di un fenomeno ben noto, che prende il nome di rally ‘round the flag effect (letteralmente, l’effetto dello stringersi attorno alla bandiera) e che caratterizza tipicamente le fasi di conflitto internazionale, tanto nei contesti democratici quanto in quelli autoritari. I gruppi sperimentano, infatti, una maggiore coesione interna, qualora si trovino sotto la pressione di minacce, siano esse reali o meramente percepite, provenienti dall’esterno del loro cerchio. E quando il gruppo si estende fino a raggiungere la dimensione di un intero popolo, lo stato di conflitto eccita non di rado un sentimento di appartenenza nazionale che sfocia in un maggiore sostegno al leader ritenuto simbolo di unità patriottica. I regimi autoritari come quello russo non fondano il proprio potere esclusivamente sul consenso popolare, ma l’appoggio dell’opinione pubblica può contribuire in modo decisivo alla loro stabilità politica. È questa la ragione per cui il Cremlino ha sollecitamente limitato, fino a ridurre al minimo, il margine di libertà delle testate indipendenti, tacitando le voci d’opposizione e oscurando i resoconti non allineati alla narrazione della guerra come atto di liberazione patriottica dal «nazismo» ucraino.
Gli avvenimenti che, tipicamente, determinano l’adunata intorno alla bandiera possiedono questi attributi distintivi: 1) hanno rilievo internazionale; 2) coinvolgono direttamente la nazione e i suoi vertici politici; 3) possiedono un carattere drammatico, molto specifico e perfettamente chiaro per l’opinione pubblica. Si tratta di eventi internazionali, poiché le questioni esclusivamente interne, che non riguardino la nazione nel suo insieme, tendono a esacerbare conflitti e divisioni tra fazioni politiche, ma non producono un sostegno unitario alla leadership. La specificità, l’estrema focalizzazione e la chiarezza (ovvero l’individuazione di un nemico dai contorni ben delineati e di una precisa missione spesso caricata di significati eroici) generano, poi, un maggiore coinvolgimento emotivo e sono in grado di attrarre l’attenzione del cittadino medio più a lungo.
L’annessione della Crimea ricalca gli stessi meccanismi di crescita del consenso interno che osserviamo oggi in seguito all’intervento militare iniziato lo scorso 24 febbraio. Il Levada Center dava il capo del governo russo al 79% nel dicembre del 2010, consenso ridottosi fino al 60% nel 2013. Dopo la Crimea, grazie a una imponente copertura mediatica di carattere propagandistico, che dipinse l’operazione come un intervento in difesa della popolazione russofona contro il riaffermarsi del fascismo in Ucraina, il gradimento di Putin balzò di quasi 20 punti, restando al di sopra dell’80% per circa quattro anni fino al 2018. Anche in quel caso la propaganda aveva chiaramente individuato un nemico (il fascismo ucraino) e una missione (la riconquista di un territorio perduto) su cui, si disse, poggiavano i destini della nazione russa.
Un tratto distintivo dell’effetto adunata è che esso trasforma i cittadini da passivi fruitori di propaganda e falsa informazione in sostenitori attivi della leadership e delle sue decisioni. Gli spiriti nazionalistici risvegliati dal battage mediatico, si accompagnano infatti a un vero e proprio riorientamento emotivo che, come sottolinea questo studio, rendono più ottimistica la percezione dei cittadini rispetto al loro contesto economico, sociale e politico. La propaganda non solo motiva il nazionalismo, ma è in grado di generare fiducia, entusiamo e orgoglio verso il presente, il futuro e persino il passato.
Stando alle più recenti dichiarazioni di Putin, il principale scopo dell’invasione militare, oltre alla ineludibile difesa degli interessi nazionali compendiati nel simbolo della bandiera, è la «protezione» del Donbass per la difesa della Russia. «Gli obiettivi sono perfettamente nobili e sono chiari», ha affermato durante una cerimonia al cosmodromo di Vostochny. Si tratta di una retorica confezionata secondo gli esatti criteri del rally ‘round effect: specificità, drammaticità e patriottismo.