Erano 277 milioni di tonnellate nel 1990, sono scese a 57 milioni lo scorso anno. In un trentennio, la produzione di carbone nei paesi dell’Unione si è ridotta di poco meno dell’80%. A dirlo sono i dati diffusi nei giorni scorsi da Eurostat.
Come si vede dal grafico che apre questo pezzo, i produttori all’interno dei confini comunitari sono rimasti sostanzialmente due: la praticamente monopolista Polonia, che ne ha estratti 55 milioni di tonnelate, e la Cechia, che si è fermata a 2. Solo dieci anni prima un ruolo significativo lo giocavano anche la Germania e la Spagna, che hanno invece azzerato la loro produzione.
Anche Varsavia, che pure resta molto impegnata sul fronte dell’estrazione del carbone, ha comunque ridotto la propria produzione con gli anni. Trent’anni fa, quando ha inizio la serie storica censita da Eurostat, erano 147 milioni le tonnellate di carbone estratte ogni anno dalle miniere polacche.
È bene precisare che questi dati fanno riferimento a quello che in inglese viene definito hard coal. Ovvero l’antracite, il carbone con il più alto potere calorifico, impiegato per il riscaldamento e, negli ultimi decenni, anche per la produzione di energia elettrica. Un tipo di carbone che viene invece utilizzato principalmente a quest’ultimo scopo è la lignite (brown coal). E, in un periodo storico in cui l’energia è diventato argomento di discussione geopolitica, è interessante notare come il consumo di questo tipo di fonte fossile si sia ridotto significativamente negli ultimi decenni.
Il grafico mostra chiaramente il peso della Germania sul fronte della produzione di energia in centrali a carbone: nel 2021 Berlino era responsabile del 45% dei consumi di lignite all’interno dell’Unione. Quell’anno ne sono state bruciate 126,35 milioni di tonnellate. Il dato è pari a circa un terzo di quello che veniva bruciato nel 1990. E, bene ricordarlo, è destinato ad azzerarsi entro il 2038, anno fissato ancora dal governo della cancelliera Angela Merkel per l’uscita della Germania dal carbone.
Ovviamente, il rialzo che si registra nel 2021 è un rimbalzo dopo il crollo dovuto ai lockdown del 2020. Con la sola eccezione della Polonia, però, questo incremento non ha superato i livelli del 2019, a conferma di una tendenza verso l’uscita dal carbone per la produzione di energia. Un processo che la crisi energetica iniziata lo scorso anno e l’invasione russa dell’Ucraina rischiano però di complicare, con intuibili effetti negativi sulle emissioni inquinanti.