Quasi 34 miliardi di euro. Ecco quanto speso per innovare (prodotti e processi) nelle imprese italiane nel 2020. Oltre un quarto in meno (si parla di circa 46 miliardi) rispetto al 2018. Queste le cifre dell’ultimo rapporto Istat sui livelli di innovazione nel nostro Paese, di cui si certifica una contrazione del 5% nel triennio 2018-2020 confrontata con il 2016-2018. Ma cosa è successo?
Costi di innovazione troppo elevati e forte concorrenza sul mercato. Questi i principali fattori. Ma non bisogna dimenticare la pandemia che ha trascinato in un buco nero il 64,8% delle aziende con attività innovative, in particolare le più piccole (66,7% contro il 50,2% delle grandi). Analizziamo i dati dell’Istituto aiutandoci con alcuni grafici.
Scarso investimento nello sviluppo dei prodotti
Benché si confermi la tendenza secondo cui maggiore è la dimensione aziendale, maggiore sarà la sua propensione ad innovare, la contrazione degli investimenti in innovazione rispetto al 2016-2018 interessa tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione. Infatti, secondo i dati dell’Istituto, le piccole imprese hanno rilevato una diminuzione della spesa in innovazione pari al -4,8%, quelle di media dimensione -5,7% e le grandi del -5%.
A cosa si deve questo quadro negativo? A quanto pare si continua a far prevalere la tendenza ad innovare i processi aziendali piuttosto che sviluppare nuovi prodotti per il mercato. Si parla di un largo confronto (sempre relativo al triennio 2018-2020), con il 43,6% delle imprese che hanno introdotto nuovi processi rispetto al 26,8% che ha invece apportato novità sui prodotti.
Il rapporto fa riferimento anche alle tipologie più frequenti di innovazioni di processo, affermando che sono molto diversificate. Quelle più frequenti si riferiscono ai sistemi informativi (25,6% delle unità), all’organizzazione del lavoro e alla gestione delle risorse umane (24,3%) e alle innovazioni impiegate nei processi di produzione (21,4%). Meno diffuse, invece, sono le innovazioni introdotte nella logistica, distribuzione e fornitura dei prodotti (16,3%) e quelle che interessano l’intera organizzazione aziendale e le relazioni con l’esterno (17,3%).
E il livello complessivo dell’innovazione nelle imprese italiane? Quasi il 51% ha svolto attività innovativa nel triennio 2018-2020. Il calo è di cinque punti percentuali rispetto al triennio 2016-2018 precedente. Sono invece il 55,6% le aziende con attività innovativa che hanno introdotto per la prima volta il lavoro a distanza, di cui il 51,2% tra le piccole imprese.
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Innovano di più le grandi aziende e i settori industriali
È l’industria il settore con la maggiore propensione all’innovazione, anche se registra un crollo pari al -7,2% rispetto al triennio precedente. Anche il settore dei Servizi subisce un calo, ma più contenuto (-3,9%). Chi invece ha rimpolpato il proprio grado di innovazione sono le Costruzioni, in cui le attività innovative sono in aumento del +3,3%. Entrando nel merito del settore industriale, dove si spende in innovazione una media di poco superiore agli ottomila euro per addetto, la propensione ad innovare è molto diversificata. Stessa cosa vale per i Servizi, dove invece si spende una media di quasi seimila euro per addetto. Si fa meno nel settore delle Costruzioni, dove si spende in media poco più di quattromila euro per addetto.
Se dovessimo invece guardare ad un fattore dimensionale, le grandi imprese (da 250 addetti in su) spendono più di settemila euro per addetto. Una quota simile vale per le piccole imprese (da 10 ai 49 addetti). Mentre non si può dire lo stesso per le medie imprese (da 50 a 249 addetti), dove si registra la quota più bassa, pari a una media di circa seimila euro per addetto. E la quota generale, senza discrezioni dimensionali o settoriali? Vale circa settemila euro per addetto.
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Le cause del calo
Ciò che spinge in negative i livelli di innovazione sono soprattutto i costi molto elevati e la concorrenza. Resto un punto dolente anche l’emergenza sanitaria che si è scagliata sulle imprese negli ultimi anni.
Secondo quanto riportato dal rapporto, se in generale i fattori di ostacolo considerati interessano tutte le imprese – a prescindere dal settore di appartenenza –, le imprese delle Costruzioni risentono maggiormente dei costi di innovazione troppo elevati, mentre le imprese industriali attribuiscono un maggior peso alla domanda di mercato incerta, alla forte competizione e alla mancanza di lavoro qualificato. Le imprese dei Servizi sembrano invece meno toccate dai diversi ostacoli indicati. Inoltre, nel 2020, oltre due terzi delle imprese (il 64,8% delle imprese con attività innovative) ha dovuto sospendere o ridurre le proprie attività innovative a causa dell’emergenza sanitaria. Di queste imprese, il 14,1% ha persino sospeso definitivamente tali attività. La crisi sanitaria ha tuttavia impresso una spinta importante nell’adozione di nuovi modelli organizzativi interni con l’introduzione delle tecnologie digitali nel campo del lavoro a distanza.