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politica

La classe politica sarebbe migliore, se i rappresentati eletti fossero pagati di più?

Si definisce cachistocrazia o, con accento ironico, peggiocrazia, la condizione in cui il governo è fatalmente affidato ai meno abili e, dunque, ai peggiori. È abitudine diffusa, specie in Italia, sostenere con acceso pessimismo che essa sia un destino pressoché inevitabile. Mancano evidenze conclusive in proposito, ma proprio perciò è lecito chiedersi: la classe politica sarebbe migliore, se i rappresentati eletti fossero pagati di più? Le scienze sociali si sono a lungo interrogate se le qualità del personale politico – dai governi locali fino ai membri dei governi nazionali – sia in qualche misura correlata al livello dei compensi; se cioè stipendi più elevati incentivino forme di selezione positiva, tali da produrre governi più abili, efficienti e leali nei confronti dei loro elettori.

Occupiamoci della teoria, prima di considerare i risultati delle indagini empiriche, che peraltro non sono numerose. I modelli economici standard postulano l’esistenza di una correlazione tra stipendi e qualità del corpo politico; l’assunzione è che stipendi più alti spingano i migliori a candidarsi e che questi, una volta in carica, complice l’obiettivo della rielezione, siano indotti a tenere comportamenti più rispettosi del loro ‘mandato’ e ad agire, perciò, nell’interesse della collettività che li ha eletti. Alti salari avrebbero, dunque, effetti positivi sia sulla composizione degli organi di governo locali e nazionali, sia sulla loro effettiva capacità di realizzare i programmi elettorali, riducendo malversazioni, corruzione e spreco di risorse. La ragione di ciò è che i più competenti sosterrebbero maggiori costi opportunità; essi rinuncerebbero, cioè, a stipendi più alti nel settore privato rispetto ai meno capaci per salire alle cariche pubbliche.

 

I modelli che legano strettamente la performance degli eletti al livello degli stipendi tralasciano, tuttavia, aspetti specifici della politica, come i meccanismi di selezione attuati dai partiti, la forza delle campagne elettorali, la funzione degli incentivi non-monetari e il modo in cui gli elettori esprimono le loro preferenze. Tra gli incentivi non monetari la motivazione soggettiva, intesa come spirito di servizio verso la cosa pubblica, è un fattore che incide profondamnete sia sull’autoselezione (la decisione di accedere alle candidature) sia sulla performance degli eletti. Questo studio di Alessandro Fedele analizza l’effetto complessivo della motivazione e del compenso sulla qualità dell’azione di governo e sul welfare complessivamente fornito alla comunità: bassi salari attraggono individui motivati, ma poco competenti; salari troppo alti spingono, d’altra parte, alla candidatura opportunisti debolmente motivati, forse capaci, ma con uno scarso spirito di servizio. Tra i due estremi si colloca, secondo lo studio, lo stipendio ottimale, che massimizza capacità, motivazione e qualità del personale politico. Gli eletti devono essere ben pagati, dunque, ma con misura.

 

Ma cosa dicono i numeri? Passando dal versante teorico a quello empirico, si scoprono fatti interessanti, che confermano statisticamente la centralità dei compensi nell’attrarre politici capaci e mantenere efficiente la macchina pubblica a livello locale.

Questo contributo di Stefano Gagliarducci e Tommaso studia il problema nel contesto dei sindaci, analizzando dati relativi ai comuni italiani intorno ai 5.000 abitanti dal 1993 al 2001. I primi cittadini ricevono una indennità in base alla dimensione del loro comune: quanto maggiore è la popolazione, tanto più alto è il loro salario. In termini concreti, il superamento della soglia demografica dei 5.000 abitanti implica un aumento del compenso dei sindaci del 30% circa. E questo incide sulla loro qualità. I dati mostrano che compensi più alti attraggono candidati con un maggiore livello di istruzione e un migliore background professionale, i quali, una volta eletti, accrescono mediamente l’efficienza dell’amministrazione, riducendo tariffe sui servizi e spese correnti.

 

 

Le figure 1 e 2 illustrano questi effetti. La prima mette in relazione alcune caratteristiche dei sindaci (genere, grado di istruzione, livello di competenza e situazione occupazionale pre-incarico) con l’ampiezza dei comuni che amministrano e, quindi, con l’entità del compenso in prossimità della soglia di riferimento dei 5.000 abitanti.

 

Nei diagrammi delle figure 1 e 2 sono rappresentati i dati osservativi (piccoli cerchi grigi), la correlazione tra variabili, positiva o negativa (linea tratteggiata), e le medie mobili (li-nee rosse e blu) a destra e a sinistra della soglia demografica dei 5.000 abitanti (linea ver-ticale). Le linee tratteggiate crescono o declinano all’aumentare della popolazione (sull’asse orizzontale) e, dunque, dello stipendio corrisposto ai sindaci.
Fonte: Stefano Gagliarducci, Tommaso Nannicini, Do Better Paid Politicians Perform Better? Disentangling Incentives From Selection, Journal of the European Economic As-sociation, Volume 11, Issue 2, 2013.

 

La seconda figura è riferita al welfare locale (servizi) e ad alcuni indicatori di budget (spesa, deficit, tassazione per capita, ecc). Com’è evidente in ogni singolo grafico, le linee tratteggiate descrivono dinamiche positive al passaggio dal lato sinistro a quello destro della soglia di popolazione. In definitiva, welfare locale, efficienza dell’amministrazione e qualità dei sindaci sono aspetti positivamente correlati al livello dei compensi. Almeno a livello locale il salario dei politici è un affidabile indicatore di qualità. Questo suggeriscono i dati.

Simili conferme empiriche mancano, tuttavia, per i deputati e i membri del governo centrale, rispetto ai quali è più intenso il filtro dei partiti e le cui caratteristiche non sono valutate da un corpo di cittadini che li elegga direttamente. Per essi valgono logiche più squisitamente ‘politiche’, talvolta puramente spartitorie o di compromesso, che richiedono di premiare la fedeltà prima delle competenze, specie laddove i partiti, come alcuni studi rivelano, operano in contesti scarsamente competitivi.