Intorno agli anni ‘50 la felicità è divenuta dominio delle scienze sociali, che hanno cercato di coglierne in profondità le determinanti oggettive e soggettive. Nonostante le disparità socioeconomiche e culturali tra i diversi paesi del mondo, sembra esservi uniformità di giudizio tra gli individui su ciò che, in generale, contribuisce in modo durevole al benessere. Al primo posto vengono le circostanze materiali di vita, condizionate soprattutto al denaro, poi la famiglia e gli affetti e, infine, gli aspetti legati al lavoro e al carattere personale (stabilità emotiva, autostima, autodisciplina, ecc).
Il denaro sembra essere, quindi, un importante coefficiente della nostra felicità. Tuttavia, sebbene esista una correlazione positiva tra denaro e benessere, influenti ricerche hanno rilevato una soglia di reddito oltre la quale il benessere individuale cessa di crescere in modo significativo. Si tratta di un paradosso già posto in luce da Richard Easterlin nel corso degli anni ’70: il denaro non produce felicità all’infinito; esiste, al contrario, un punto di rottura oltre il quale il benessere non solo cessa di crescere, ma può persino ridursi.
Le spiegazioni fornite dagli studiosi ricorrono alla metafora del treadmill o tappeto rullante: l’aumento della felicità si arresta oltre una data soglia, perché gli avanzamenti in termini di reddito innescano meccanismi che contrastano con il benessere, proprio come un tappeto rullante compensa la spinta delle nostre gambe, facendoci restare fermi sempre nello stesso punto. Daniel Kahneman, uno dei fondatori della finanza comportamentale e premio Nobel per l’economia nel 2002, distingue due effetti treadmill: il rullo edonico e il rullo delle aspirazioni.
Il rullo edonico è il fenomeno per cui miglioramenti negli standard di vita aumentano il benessere solo nel breve o brevissimo periodo, dopo di che si torna a un livello di felicità di base o set point, le cui determinanti sono, in ultima istanza, genetiche e culturali. La felicità in termini di novità si traduce in comfort, il quale porta ben presto alla noia.
Il rullo delle aspirazioni agisce invece sul desiderio di consumo, che si accresce col reddito: il miglioramento delle condizioni materiali induce l’individuo a desiderare continui e più intensi piaceri, per mantenere lo stesso livello di soddisfazione. In sostanza, nonostante la felicità ‘oggettiva’ (la disponibilità di beni di consumo) aumenti, la felicità ‘soggettiva’ (il complesso dei sentimenti positivi di soddisfazione e serenità) rimane costante.
Questo studio, apparso su Nature, individua il punto di sazietà, ovvero il plafond del benessere emotivo, intorno ai 75.000 $ annui. Si tratta di un risultato condiviso con altre eminenti ricerche.
L’indagine rielabora i dati del sondaggio mondiale Gallup, che raccoglie un campione rappresentativo di oltre 1,7 milioni di individui in tutto il mondo. Come mostra la figura 1, la sazietà corrisponde a livelli di reddito più elevati nei paesi più ricchi, in cui il rullo edonico e il rullo delle aspirazioni operano più intensamente. In base agli stessi dati, lo studio misura anche la soddisfazione di vita, una sorta di valutazione complessiva dell’esistenza da parte di coloro che hanno partecipato al sondaggio, il cui punto di sazietà giunge dopo quello del benessere emotivo intorno ai 95.000 $ annui.
Incremento delle aspirazioni e adattamento edonico non sono, tuttavia, le sole spiegazioni del paradosso di Easterlin in voga tra gli economisti. A esse si aggiungono, infatti, gli effetti negativi di tipo posizionale, dovuti al confronto con gli standard di consumo altrui. Un fenomeno che gli anglosassoni incorniciano con l’espressione Keeping up with the Joneses, letteralmente: Stare al passo con i Jones, ovvero mostrare un livello di consumo almeno paragonabile a quello dei propri vicini, per non incorrere in un’indesiderabile e, per alcuni, imbarazzante riduzione dello status relativo.
Questo studio pone, però, in luce un possibile effetto inatteso delle diseguagilanze di reddito sul benessere emotivo. Se è vero, infatti, che ineguaglianze eccessive inducono un effetto invidia (jealousy effect) verso chi ha di più, che contrasta con la felicità soggettiva, diseguaglianze più contenute lanciano invece un segnale incoraggiante all’individuo. Egli percepisce, infatti, che il miglioramento della propria posizione realtiva è una meta realistica. Si tratta di ciò che gli autori dello studio definiscono, appunto, effetto segnale (signal effect), un misto di sostegno alle aspirazioni e di conforto, che influisce positivamente sul benessere individuale.
La figura 3 mette in relazione felicità e diseguaglianza. L’asse verticale traduce in una scala arbitraria la felicità soggettiva dichiarata o, meglio, autovalutata. I dati elaborati dallo studio appartengono allo European Social Survey, un sondaggio su larga scala condotto biannualmente nei paesi dell’Europa occidentale. L’asse orizzontale riporta il grado di diseguaglianza, ovvero di ineguale distribuzione del Prodotto Interno Lordo. Come si vede, la felicità dichiarata aumenta finché le disparità sono contenute; poi, una volta raggiunto il picco, la felicità cala drasticamente via via che le ineguaglianze si fanno più marcate. A sinistra del picco l’effetto invidia (o risentimento) è ridotto, mentre l’effetto segnale (ottimismo) opera più intensamente; oltre il picco, invidia e pessimismo individuale riducono sempre di più il benessere soggettivo.
Se, come abbiamo visto, la letteratura scientifica individua in un reddito di 75.000 $ la soglia critica del benessere emotivo, questo studio ritiene, invece, che il punto di sazietà, se esiste, si trovi molto oltre tale valore. Ciò si deve al fatto che la maggior parte delle ricerche chiedono agli individui di ricordare stati d’animo passati e di dare, dunque, una valutazione del loro benessere ex post facto. Tuttavia, la memoria può produrre distorsioni, e ciò rischia di rendere le rilevazioni empiriche molto meno accurate. Gli autori dello studio hanno, perciò, utilizzato gli smarphone personali, per raccogliere in tempo reale una gran mole di dati non distorti rispetto ai tradizionali sondaggi di autovalutazione. L’esito è rappresentato nella figura 4: il benessere emotivo, contrariamente a quanto emerge da studi precedenti, cresce(rebbe) in misura considerevole anche oltre la soglia ‘canonica’ dei 75.000 $ annui.
In mancanza di indicazioni definitive su quale sia il minimo reddito che assicura la felicità soggettiva, è saggio cogliere il suggerimento di Easterlin, che ci rammenta di dedicare il nostro tempo in primo luogo a quei beni la cui utitlità non si riduce con il consumo, ovvero la salute e gli affetti, e che, come molti studi dimostrano, incidono più durevolmente del denaro sul nostro benessere emotivo.
Data Analysis ospita interventi di ricercatori e docenti universitari e analisi di data journalist ed esperti su working paper, articoli scientifici e studi che parlano in modo più o meno diretto alla società e alle politiche data-driven.
Autore: Luca Delvecchio è laureato in Discipline Economiche e Sociali e in Filosofia Teoretica. Collabora con l’Istituto regionale per il supporto alle politiche della Lombardia. È CEO di RTech1605
Per approfondire.
Chiedeteci se siamo felici? Ecco cosa dice il World Happiness Report
L’Europa, gli Stati Uniti e la felicità ai tempi del Covid-19 #mapping
Famiglia, lavoro e benessere: come si misura il “senso” della vita?