Ci sono i cambiamenti climatici, lo smaltimento dei rifiuti, la biodiversità, la qualità dell’aria e dell’acqua, il buco dell’ozono, la conservazione del paesaggio, l’inquinamento luminoso e il rumore, la questione del biologico e del chilometro zero. Il tema del riciclo, quello del dissesto idrogeologico, il consumo di suolo, il risparmio energetico e la crisi idrica. Sono parecchie le questioni che riguardano l’ambiente che affliggono il nostro tempo, ma gli italiani nel complesso – beata onestà – non ne sono particolarmente preoccupati.
Nel 2021 al primo posto quanto a preoccupazione per gli italiani troviamo i cambiamenti climatici: il 52% della popolazione di 14 anni e più intervistata da Istat la colloca al primo posto, seguita dall’inquinamento dell’aria e dal tema della produzione e dello smaltimento dei rifiuti. Siamo comunque intorno al 40% delle persone preoccupate per questi temi, mentre gli altri problemi ambientali preoccupano meno di tre persone su 10. L’indagine ha coinvolto oltre 45.000 persone.
In fondo alla graduatoria vi sono le preoccupazioni del futuro che coinvolgono una quota ristretta di persone, come le conseguenze del rumore sulla propria salute e la rovina del paesaggio.
Negli ultimi 25 anni, dal 1998 a oggi, l’attenzione della popolazione per la fragilità dell’ambiente è leggermente cresciuta, anche grazie al fatto che se ne parla sui media e social media molto di più di un tempo. In particolare si discute di cambiamenti climatici, mentre nel 1998 si faceva per lo più riferimento ai problemi dell’effetto serra e del buco dell’ozono. La preoccupazione per l’effetto serra nel 1998 coinvolgeva quasi sei persone su 10 dai 14 anni, contro il 35% nel 2021. Al contrario, se nel 1998 il 36% era preoccupato per i cambiamenti climatici, oggi siamo al 52,5%.Valutando insieme i due problemi – effetto serra e cambiamenti climatici – emerge che l’attenzione è aumentata in misura decisa a partire dal 2019 in concomitanza ai movimenti di protesta che hanno preso avvio a livello globale: oltre il 60% della popolazione si è infatti espressa in questa direzione. Comunque pochi.
Solo la metà dei cittadini è preoccupata per la qualità dell’aria che respira, e solo una persona su cinque lo è del dissesto idrogeologico, un calo – quest’ultimo – notevole rispetto al 34% di 25 anni fa. E i disastri nel frattempo non sono mancati. L’inquinamento delle acque e il tema dei rifiuti interessano in maniera costante circa il 40% delle persone di più di 14 anni, mentre la distruzione delle foreste, che preoccupava nel 1998 il 25,2% della popolazione, scende al 22,3% nel 2021.
I giovani fino a 34 anni sono i più sensibili sulla perdita della biodiversità (si dice preoccupato il 32,1% di loro contro 20,9% degli over55), sulla distruzione delle foreste (il 26,2% contro il 20,1%) e sull’esaurimento delle risorse naturali (il 24,7% contro il 15,9%). Gli ultracinquantenni si dichiarano invece più preoccupati dei giovani per il dissesto idrogeologico (il 26,3% contro il 17% degli under35) e l’inquinamento del suolo (il 23,7% contro il 20,8%).
Le preoccupazioni dovrebbero poi tradursi in comportamenti più sostenibili. Nel 2021 il 67,6% degli intervistati dichiara di fare abitualmente attenzione a non sprecare energia, il 65,9% a non sprecare l’acqua e il 49,6% a non adottare mai comportamenti di guida rumorosa al fine di diminuire l’inquinamento acustico.Il 37,1% della popolazione legge le etichette degli ingredienti negli alimenti che acquista e il 24,4% si impegna ad acquistare prodotti a chilometro zero.
Non sembrano però essere i giovani i più responsabili. Fra chi ha più di 25 anni le percentuali di coloro che adottano i comportamenti ecocompatibili analizzati risultano più elevate rispetto ai ragazzini. Fa attenzione a non sprecare energia il 50,5% degli under 34 rispetto al 73,8% dei loro genitori, e acqua il 52,3% dei primi rispetto al 71,2% dei secondi. I più giovani sono tuttavia leggermente più propensi a scegliere mezzi alternativi, quando possono: il 22,4% contro il 16,3% degli over55.
Il gradiente si riscontra sul titolo di studio: al crescere del livello di istruzione aumentano le quote di persone più attente a non sprecare energia e ad acquistare prodotti biologici (anche se questo può derivare anche dalle possibilità economiche)