Il PNRR ha in programma di stanziare 450 milioni di euro per servizi di Housing temporaneo per la presa in carico, per almeno sei mesi, di almeno 25 mila persone che vivono in condizioni di grave deprivazione materiale, i quali dovrebbero ricevere un alloggio temporaneo grazie ai progetti di Housing First e stazioni di posta. Lo riporta un rapporto di Caritas dal titolo Casa e abitare nel PNRR, uscito a marzo 2022.
Il concetto di Housing First risale agli anni Novanta, e prevede che “alla persona senza dimora si offra il passaggio diretto dalla strada alla casa e un accompagnamento intensivo del servizio sociale che la supporti nel percorso di reintegrazione sociale e nel conseguimento del benessere soggettivo”.
Potenzialmente Housing First potrebbe rappresentare un percorso per tutte o comunque per la gran parte delle 50.724 persone senza dimora che nel nostro Paese sono state censite da Istat nel 2014, un dato senza dubbio sottostimato perché conteggia solamente chi ha utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna in 158 comuni italiani oggetto dell’indagine.
In Italia non sappiamo quanti sono esattamente le persone senzatetto o che rischiano concretamente di esserlo. Fino al 2021 i censimenti Istat a questo proposito erano del tutto empirici, cioè venivano condotti nel corso di una notte nei più grandi centri italiani andando a contarne il più possibile. Nel 2021 invece si è provato a censire i senzatetto derivando le informazioni anagrafiche della popolazione censita. L’indagine più solida portata avanti da Istat con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e con la Caritas risale al 2014, quando si era riusciti a mappare 158 comuni italiani stimando una prevalenza di 2,4 senzatetto ogni 1000 cittadini. Dall’indagine Istat restano quindi escluse le persone che non hanno rapporti con i servizi pubblici o enti del Terzo settore, ma che invece è considerato il target prioritario dell’approccio Housing First.
Il punto è che in ogni caso non sono solo i senzatetto a vivere problematiche abitative. Un altro indicatore che Istat utilizza in questi casi come dimensione del benessere economico è l’indice di grave deprivazione materiale, definito come la percentuale di persone che vive in famiglie con almeno 4 di 9 problemi, fra cui non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione o non potersi permettere una lavatrice.
Mettere in pratica l’Housing First significa che i comuni devono reperire appartamenti per singoli individui, piccoli gruppi o famiglie fino a 24 mesi per ognuno, attuando progetti personalizzati per ogni singola persona o famiglia che li supportino nel raggiungimento di un maggior livello di autonomia, inclusa la ricerca di lavoro. La realizzazione di “stazioni di posta” significa invece mettere a punto centri di servizi e inclusione che forniscano accoglienza notturna limitata, servizi sanitari, ristorazione, distribuzione postale, mediazione culturale, consulenza, orientamento professionale, consulenza giuridica e distribuzione di beni di prima necessità.
A che punto siamo? L’approccio Housing First ha trovato nel nostro Paese un pieno riconoscimento nelle Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia, accolte dal Governo nel dicembre del 2015, ma i progetti attivi sul territorio nazionale sono ancora molto limitati e coinvolgono un numero di persone estremamente ridotto, rispetto a coloro che trovano un’accoglienza nel “tradizionale” circuito dell’assistenza basato essenzialmente sui dormitori. Lo rileva il report di monitoraggio su 31 progetti Housing First attivi in Italia al 31 dicembre 2019, pubblicato nel dicembre 2020, ha contato 31 progetti in 9 Regioni e 29 città, per un totale di 292 persone assistite (206 di loro sono italiani). Grossa parte di loro era senza casa (il 32%) o senzatetto (il 27%), il 25% viveva in sistemazioni insicure e il 16% viveva in sistemazioni inadeguate come roulotte, campi, addirittura grotte. Quasi sempre dietro ai progetti di Housing First vi sono cabine di regia coordinate dall’ente pubblico che, pur sempre in collaborazione con soggetti del privato sociale, portano avanti i progetti. Il 93% delle organizzazioni che portano avanti i progetti sono nel privato sociale e il restante 7% ha natura pubblica. Gli enti ecclesiastici rappresentano il 32% degli enti aderenti al Network , con enorme peso della Caritas, seguiti dalle Cooperative sociali a scopo plurimo (13%). Il 40% dei progetti ha un budget tra i 5.000 e i 25.000 euro e solo 3 su 31 oltre i 151.000 euro. Quasi tutti i progetti utilizzano più fonti di finanziamento, in primis i Fondi privati di natura ecclesiale, come l’8×1000, la Comunità Valdese, la CEI, (il 36%), e i fondi comunali (17%).
Il primo grosso problema è reperire gli alloggi da destinare al progetto, che devono essere messi a disposizione da enti pubblici o da privati, in un mercato – quello dell’affitto turistico – sicuramente più redditizio. Il secondo è il tema della scadenza dei progetti. “Le Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia, nonché le diverse evidenze scientifiche in materia, indicano la necessità di un’accoglienza flessibile per tutto il tempo necessario al fine dell’acquisizione di una autonomia sostenibile della persona” concludono gli autori del rapporto Caritas. “Fissare a priori un termine dell’accoglienza si scontra con la eterogeneità dei percorsi e dei vissuti delle persone in condizione di senza dimora che richiedono percorsi personalizzati e costantemente rimodulati sulla base dell’avanzamento del progetto definito con la persona beneficiaria dell’intervento di Housing First. Il PNNR propone percorsi a scadenza, ma questo ridurrebbe l’Housing First a una qualsiasi altra forma di accoglienza, annullandone l’approccio innovativo”.