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economia

Perché negli ultimi anni il numero di neo dottori di ricerca in Italia è in costante calo?

Negli ultimi anni il numero di neo dottori di ricerca in Italia è in costante calo: dagli oltre 10.000 che si contavano per l’anno 2017 siamo scesi a quasi 8.000 nel 2021. Il confronto con gli altri paesi europei con una popolazione simile alla nostra è impietoso: nel 2020 sono 31 mila gli iscritti a corsi di dottorato in Italia (la fonte è OCSE – Education at a Glance) contro i  182 mila della Germania, i 110 mila del Regno Unito, i 92 mila della Spagna e i 66 mila della Francia. Abbiamo sempre meno iscritti ai corsi di dottorato rispetto al 2013, che sebbene sia un trend comune anche ad altri paesi come la Germania, in termini di numeri assoluti evidenzia comunque una situazione particolarmente disagevole per chi vorrebbe fare ricerca, specie in Accademia. Un’eccezione positiva è quella della Spagna che ha visto aumentare costantemente il numero dei dottorandi nello stesso periodo, superando nel giro di cinque anni Italia e Francia.

Stando all’ultima rilevazione di Almalaurea (su 4000 neo dottori e dottoresse), nel 2021 la metà dei neo dottorati ha conseguito il titolo nello stesso ateneo dove si è laureato, un ulteriore 32% in un altro ateneo italiano e l’11,7% all’estero.

Il dottorato di ricerca è un indicatore della competitività della ricerca scientifica e industriale di un paese. Tendenzialmente, i paesi che dispongono di un elevato numero di PhD hanno infatti anche un elevato numero di ricercatori. L’Italia in questo senso è uno degli ultimi paesi OCSE per percentuale dottori di ricerca sulla popolazione in età lavorativa 25-64 anni (dato riferito al 2019): 0,5%, la metà della media, e un quarto rispetto ai primi paesi come Svizzera, Stati Uniti, Svezia e Germania. Questo (anche) perché l’Italia è stata più lenta di altri paesi a istituire la figura del dottorato, che esiste solo dal 1983, e poiché per molti anni ha bandito pochissimi posti. Nel 1998, 15 anni dopo la sua introduzione, il flusso annuale di diplomati con il dottorato di ricerca era di solo tremila unità l’anno, e solo nel 2007 ha raggiunto quota diecimila.

Si riducono i posti senza borsa

Tale riduzione è dovuta principalmente al calo del numero di posti banditi senza borsa di studio, che significa che la persona deve avere le risorse per mantenersi in altra maniera durante il dottorato, non ricevendo da questa attività alcuno stipendio. Le cose sono andate leggermente migliorando negli ultimi 15 anni, anche se i posti banditi rimangono comunque pochi. Nel 2007 – periodo nero per la ricerca italiana per l’enorme gap fra domanda e offerta di posti a bando in relazione anche al turn over – la differenza tra numero di posti banditi e studenti iscritti era elevatissima, con ben 2.867 posti banditi non coperti, mentre nel 2019, queste posizioni erano appena 590. I posti coperti da borse di studio al contrario, dopo la flessione del 2010, sono piano piano leggermente aumentati. Siamo insomma giunti ad un progressivo avvicinamento tra posti banditi e studenti iscritti, anche se il gioco è sempre al ribasso.

L’ultima Relazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) pubblicata a novembre 2021 mostra che nonostante la spesa per R&S in rapporto al Pil sia in lieve ripresa (1,4%) e la ricerca scientifica italiana (accedemica e privata) generi quasi il 5% delle pubblicazioni scientifiche mondiali censite dal World of Science – una quota assai significativa – nel mondo della ricerca restano critici tre aspetti: la quota di popolazione con il dottorato di ricerca, quella di donne nella ricerca in materie tecnico-scientifiche e il divario salariale di genere.

Attraiamo pochi PhD stranieri

Siamo anche scarsamente in grado di attrarre eccellenze straniere, rispetto ad altri paesi. I corsi di dottorato ospitano il 15% di studenti stranieri, assai meno di quanto accade altrove. Accogliamo studenti provenienti prevalentemente da paesi emergenti, mentre quelli che arrivano da altri paesi europei sono una minoranza, prevalentemente da paesi di piccole e medie dimensioni come Belgio, Svezia, Paesi Bassi, Austria e Portogallo. Il numero di studenti italiani che svolge il proprio dottorato presso Università straniere è consistente, e le mete preferite sono il Nord Europa e il Nord America. Nel periodo 2013-2018 (ultima rilevazione disponibile) la quota di studenti italiani iscritti ai corsi di dottorato in Austria, Francia, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Svizzera è cresciuta, passando da 9.389 alle 12.252 in soli cinque anni.

E il PNRR?

Pare che il PNRR punta incrementerà gli investimenti su questo fronte. Ad aprile 2022 sono stati pubblicati i primi due decreti sui dottorati di ricerca finanziati con investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Si tratta di 7.500 borse di studio previste per l’anno accademico 2022/2023 per attività che devono essere avviate entro il 31 dicembre di quest’anno, grazie a 300 milioni di euro di investimento: 5.000 borse per dottorati innovativi che rispondono ai fabbisogni delle imprese e promuovono l’assunzione dei ricercatori da parte di queste ultime, 1.200 per dottorati di ricerca rientranti, comunque, negli ambiti di interesse del PNRR, 1.000 per dottorati per la Pubblica Amministrazione, 200 per il patrimonio culturale e 100 per dottorati in programmi dedicati alle transizioni digitali e ambientali.

Qualcosa sta cambiando, dunque, con il nuovo PNRR, anche se siamo ancora lontani dai numeri competitivi degli altri grandi paesi europei.