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politica

Pandemia e procreazione assistita: 20% di nati in meno nel 2020

Le restrizioni pandemiche del 2020 hanno impattato pesantemente anche sulla procreazione medicalmente assistita, traducendosi nel 20% di bambini nati in meno rispetto al 2019. A causa della pandemia sono diminuiti infatti sia i cicli da scongelamento di embrioni FER e FO (19.314 cicli contro i 23.157 del 2019), che quelli a fresco senza donazione di gameti (38.728 cicli, contro i 50.324 del 2019). Il risultato è che le coppie che hanno avuto accesso a un trattamento sono state 65.705, rispetto alle 78.618 del 2019. Di queste, 57.656 hanno utilizzato gameti della coppia (fecondazione omologa), mentre 8.049 gameti donati da terze persone (fecondazione eterologa). Anche le PMA con donazione di gameti – che contribuisce per l’11% agli interventi totali – ha registrato un decremento nel 2020, seppur più contenuto: il 4,2% dei cicli e il 6,2% dei nati vivi in meno rispetto all’anno precedente. Questo anche perché la quasi totalità degli ovociti donati che vengono usati in Italia proviene da banche estere.

Durante il primo lockdown fra marzo e maggio 2020, era stata garantita infatti solo la preservazione della fertilità nei pazienti oncologici con tecniche di crioconservazione di gameti e tessuto gonadico, in quanto interventi non differibili. A giugno 2020 l’attività dei centri di PMA era gradualmente ripresa, ma con frequenti interruzioni durante tutto l’arco dell’anno in alcune regioni. A maggio 2020 il Registro Nazionale PMA aveva condotto una Survey per valutare l’impatto della pandemia sui cicli di PMA in rapporto alla incidenza dei casi di infezione dalla quale era emersa una riduzione dell’attività nel primo quadrimestre del 2020 pari al 34,8% di tutte le tecniche applicate, che si declinava nella riduzione del 32,6% di attività per i centri pubblici, del 37% per i centri convenzionati e del 35,7% per i privati. Nei diversi contesti assistenziali il recupero di attività si è svolto infatti in maniera diversificata. I centri privati sono stati maggiormente in grado di aumentare il numero di cicli offerti fino ad arrivare alla sola riduzione del 4,1% di cicli applicati rispetto al 2019, fra i privati convenzionati la contrazione è stata del 20,9% di cicli. Il pubblico, ha subito un drastico decremento del 29,2% dell’attività rispetto al 2019. Come si può immaginare, in termini di mancato recupero di attività, a risultare più impattati sono stati i centri del Nord Ovest dove c’era stata una maggiore diffusione dell’infezione: si è registrata una riduzione del 30% delle attività nelle regioni di Nord Ovest, del 15% a Nord Est, del 12% al Sud e Isole e del 6,6% nelle regioni del Centro.

A rilevarlo è la Relazione annuale del Ministro della Salute al Parlamento.

I dati

I cicli iniziati sono stati 80.099, contro i 99.062 del 2019, di cui 26.040 nei centri pubblici, 18.692 nei privati convenzionati, 35.367 nei privati.I bambini nati vivi grazie a tecniche di PMA sono stati 11.305 contro i 14.162 nel 2019, di cui 9.158 con gameti della coppia e 2.147 con gameti donati, pari al 2,8% del totale bambini nati nel 2020. L’attività è diminuita prevalentemente nei centri pubblici e privati convenzionati (-29,2% e -20,9%), nei centri situati nelle regioni del Nord Ovest (-30,0%), cioè nelle zone più colpite dalla diffusione del virus SARS-CoV-2.

Se consideriamo le Attività di I livello (inseminazione intrauterina) da 8.088 coppie trattate e 11.679 cicli di trattamento iniziati sono nati 963 bambini, mentre grazie alle Attività II-III livello (FIVET, ICSI, FER, FO) sono state prese in carico 32.562 coppie, e da 38.728 cicli di trattamento iniziati sono nati 3.660 bambini.

Cosa è successo in Lombardia

L’impatto della pandemia è stato particolarmente rilevante dal momento che la Lombardia è la regione dove si concentra la maggiore fetta di attività legate alla PMA: 9.010 cicli iniziati con tecniche di II e III livello per 1 milione di donne fra i 15 e i 45 anni (si erano raggiunti i 13 mila cicli nel 2019, contro una media italiana di 6.525 cicli). La Lombardia è la regione con più centri per la PMA – 55 realtà – per 13 mila coppie trattate nel 2020 (17 mila nel 2019) su 57 mila in Italia, 2.886 nati vivi su 11.305. Per quanto riguarda invece le diverse tecniche applicate, la maggiore riduzione si è riscontrata fra le tecniche a fresco con una diminuzione del 23% di cicli, poi sulle tecniche FO con un meno 19,3% quindi sulla tecnica FER con meno 11,4% di cicli ed infine sui cicli con donazione di gameti, più frequenti nei centri privati, i quali hanno subito solo una lieve diminuzione del 2,3%.

In Italia si fa ancora poca PMA

Il calo dell’offerta rilevato nel 2020 si inserisce in un contesto italiano già svantaggiato rispetto agli altri paesi europei. L’indicatore di attività della PMA, che misura l’offerta di cicli totali di trattamenti di PMA per tutte le tecniche di II e III livello per milione di donne in età fertile (cioè di età compresa tra i 15 ed i 45 anni) risulta pari a 6.525 cicli, contro i 7.697 del 2019. La media europea è di 7.662 cicli, la Francia ne presenta 8.528 e il Regno Unito 5.392 cicli nel Regno Unito, 15.783 in Danimarca e 14.411 in Belgio. Nei Paesi del Nord Europa, nonostante il numero complessivo di cicli per anno sia inferiore all’attività nel nostro Paese, il rapporto del numero di cicli per milioni di donne in età feconda è più elevato rispetto al dato dell’Italia.